La cantautrice Nada, in uscita con libro e Cd doppio "Materiale domestico" (foto Claudia Pajewski)
Una notte d’autunno rileggi la vita di una donna che ha dato voce, con musica e parole, a questo nostro strano Paese che ha conosciuto e vissuto a fondo. E davvero ti viene da pensare che «sembra un angelo caduto dal cielo». Così canta in Amore disperato (memorabile tormentone del 1983) Nada Malanima, per brevità artistica, Nada.
Battezzata con il nome di una zingara che profetizzò alla madre la nascita di una ragazzina che sarebbe finita sotto le luci della ribalta. E infatti a 15 anni, esattamente mezzo secolo fa, 1969, nell’epoca in cui ruggiva la “Tigre di Cremona”, Mina e sul palco di Sanremo ghermiva “l’Aquila di Ligonchio”, Iva Zanicchi, ecco sgusciare il “Pulcino di Grabbo”, frazione di Rosignano Marittimo (Livorno). La Macondo di Nada che, all’improvviso, rubò la scena persino all’altrettanto microcosmica Monghidoro (Bologna) di Gianni Morandi.
Potere del cantar leggero: con Ma che freddo fa, la piccola ma grintosissima Nada, dalla voce roca e struggente, spazzava via le foglie ingiallite delle canzonette anni Sessanta per seminare nuove speranze e ridisegnare altri orizzonti. Si piazzò al quinto posto, ma poi è schizzata prepotentemente in cima alla hit-parade e il suo nome arrivò fino in Giappone. Quel nome che, nella sua autobiografia Materiale domestico Un’autobiografia 2019-1969 (Atlantide. Pagine 121. Euro 20,00), conferma il vaticinio della zingara: era davvero il segno di una predestinata. «Ho letto da qualche parte che Nada in sanscrito significa “suono”. E io da sempre inseguo un suono che so di trovare solo dentro di me. L’importante è continuare a cercare».
Una ricerca costante, a tratti sciamanica, quella che l’ha portata a vincere un Sanremo a 17 anni (1971) con Il cuore è uno zingaro (in abbinamento con Nicola Di Bari) e a sentirsi al centro del villaggio canoro nazionalpopolare, ma poi anche uno dei tanti ingranaggi dell’industria discografica, da sempre “usa e getta”. Per questo, capito subito l’antifona, per restare perennemente fedele a se stessa, libera e indipendente, svoltò rapida sul sentiero più tortuoso, la strada dei poeti: il sentiero del “maledetto” Piero Ciampi e dello chansonnier, non ancora laureato dai francesi, Paolo Conte.
Alcuni dei tanti nomi e volti che riaffiorano (dalle pagine dell’autobiografia al “contrario”) ben stampati nella memoria di chi ha scelto di vivere isolata, in campagna, «fuori dal paese di Manciano, in una striscia di Maremma incastonata tra la Toscana e il Lazio», precisa Gerri Manzoli, ex bassista dei Camaleonti. Gerri, suo marito da quarant’anni che nel libro de- dicato alla loro figlia Carlotta viene appena nominato «ma semplicemente perché – interviene Nada – la sua presenza è talmente fondamentale nella mia vita che avrei dovuto inserirlo in ogni singola riga».
Fondamentale, artisticamente parlando, è stato anche l’incontro con Piero Ciampi.
La Rca ci mise insieme, due livornesi, il Poeta e la “ragazzina prodigio”, e dallo strano mix venne fuori Ho scoperto che esisto anch’io. Un disco che andò male ma che mi permise di ribellarmi a chi voleva che continuassi a cantare solo le due canzoni sanremesi fino alla pensione. Ho pensato anche di piantarla lì con la musica e di fare altre cose, ma Piero, una persona pura, semplice, pur nella sua complessità, mi fece capire che oltre al dono della voce possedevo anche quello della scrittura e che il mio mondo era assai vicino al suo...
Il suo mondo è anche il teatro dove ha debuttato con Giulio Bosetti interpretando Anne Frank.
Un grande successo. La storia di Anne Frank per me fu una rivelazione, e la sua fine nel lager nazifascista rimarrà per sempre nella memoria collettiva. Bosetti è stato un maestro vero, ti faceva fare un percorso interiore nella vita di tutti i giorni per poi tirarti fuori l’anima in scena.
Con Dario Fo invece lei tirò fuori le unghie quando la volle ne L’opera dello Sghignazzo....
Ci furono dei contrasti con Fo sull’uso del mio personaggio. Io difendevo le mie idee, come sempre, e questa mia personalità credo che spieghi i tanti incontri importanti che ho avuto e il fatto che abbia incuriosito altri registi, anche cinematografici, come Citto Maselli o Michelangelo Antonioni che mi volevano conoscere e mi proponevano di lavorare con loro.
Ma prima di tutto c’è sempre stata la musica. E nel suo percorso, su e giù per le “montagne russe”, è passata dal primo all’ultimo posto a Sanremo (1987), con Bolero. Grande delusione?
Ho imparato in fretta a non esaltarmi dopo quel successo arrivato così precocemente, così come non mi sono mai abbattuta più di tanto nelle avversità. Dopo quel Sanremo presi in mano le Confessioni di Sant’Agostino e ho provato a cantare alcuni passi, scandendo bene le “tronche” per assaporare il suono del latino. Quella lettura mi ha arricchito dentro e mi ha aiutato a scrivere poesie ( Le mie madri (Fazi) e i tre romanzi che poi ho pubblicato sollecitata dal mio caro editore, Simone Caltabellotta.
Alla fine degli anni ’90 nasce il “Nada trio”, con i due Avion Travel, la chitarra magica di Fausto Mesolella e il contrabbasso suadente di Ferruccio Spinetti.
Due grandissimi musicisti e due compagni d’avventura straordinari con cui ho condiviso un periodo molto bello. Quando è morto Fausto ho pianto per giorni, è come se avessi perso un fratello, un vuoto troppo grande da colmare. In compenso mi ha lasciato tanti insegnamenti, come quel suo «suonerei anche davanti a un cappello» che vuol dire: tutti hanno il diritto di ascoltare la tua musica che è la cosa più importante che possiede un artista, il quale a sua volta ha il dovere di rispettare il pubblico dando il meglio di sé, anche se in sala ci sono soltanto tre spettatori dentro un localino di provincia... come è capitato a me Mesolella e Spinetti.
Le serate peggiori per un cantante...
No, i momenti bui sono stati altri: la morte di mia madre, la paura della malattia o quella di non avere più i soldi per andare avanti... A me ha fatto sempre male la banalità delle persone con le loro sovrastrutture, i loro pregiudizi. Spesso è vero, sono rimasta delusa per la poca attenzione verso i miei dischi, ma questo perché volevano sentire e vedere ancora la Nada del primo Sanremo e non accettavano che fossi in continua evoluzione, libera di scegliere e anche di sbagliare. Così, agli occhi dei produttori diventavo “l’ingovernabile”.
Come si è difesa dalla pubblica ottusità?
Stando lontano dal piattume. Ho sempre sete di novità, di percorrere nuove vie, perché la musica è un universo immenso tutto da esplorare. Adesso per esempio per ripulirmi la mente ascolto solo la classica. C’ho messo più tempo a far capire chi sono e dove vado, ho rischiato e investito su me stessa. Io dico sempre che se quello che hai dentro vale e ci credi fino in fondo, prima o poi la gente lo capirà, e sentirà battere forte la tua anima.
La sua spiritualità emerge spesso nelle canzoni, da il Gesù dell’album L’amore è fortissimo ma il corpo no fino a Il tuo Dio del cd e tour Occupo poco spazio.
Ho un rapporto empatico con la natura che mi circonda e poi uso la preghiera come strumento di conoscenza. La chiesa per me è un luogo rassicurante. Ogni volta che viaggio per un concerto vado sempre a cercare la prima chiesa del posto: mi fa stare bene quel sentirmi in relazione con gli altri che, lì dentro, si spogliano delle loro convenzioni quotidiane che la società gli impone. A volte – sorride – penso che per sentirci più vicini l’uno con l’altro dovremmo abitare tutti in delle chiese.
Il Papa di Paolo Sorrentino, nella serie tv The Young Pope (l’attore Jude Law) ascolta estasiato le parole di una sua canzone che fa: «Tutto viene dal niente e niente rimane senza di te».
Sorrentino mi ha spiazzata quando ha scelto la mia Senza un perché. È una canzone che amo e che stava chiusa dentro ad una scatola, praticamente dimenticata per 14 anni prima che lui la “riscoprisse”. Paolo continua a ringraziarmi per averla inserita in The Young Pope, ma sono io che gli sarò grata per sempre.
Quanto le sono grati i vari Zen Circus, Motta (con cui è tornata al 1° posto a Sanremo 2019 nella serata dei duetti) e quei giovani con cui spesso collabora?
In ogni incontro tra generazioni diverse c’è uno scambio. Io cerco di trasmettergli le mie esperienze del passato e loro in cambio mi hanno regalato il futuro, il software “Garage Band”. I talent? Non li seguo, penso però che se vuoi fare questo mestiere devi essere sciolto, libero di esprimerti, e capire che la gavetta è necessaria, perché il successo a volte inizia e finisce con un’apparizione in tv.
L’8 novembre esce il suo cd (doppio) Materiale domestico che viene dopo l’intimistico È un momento difficile, tesoro. È ancora così?
È sempre un momento difficile, tesoro... – sorride divertita – La musica mi ha permesso di schierarmi e di non farmi condizionare da niente e nessuno. Tutti hanno bisogno di immaginarti di fermarti da qualche parte ma io non mi fermo mai.