«Il musical per reggere alla crisi deve puntare sulla qualità. È difficile, ma noi per 30 anni ce l’abbiamo fatta e continueremo a farlo». Il regista Saverio Marconi, papà del musical all’italiana, non nasconde che siano tempi duri per tutti, ma proprio per questo ha deciso di festeggiare il trentennale della Compagnia della Rancia da lui fondata ripescando il suo più grande successo,
Grease che torna in scena da oggi a Recanati e poi in tournée. La stessa Compagnia ha in contemporanea in cartellone il musical
Frankenstein Junior.
Marconi, ora che i teatri fanno fatica a riempirsi, lei punta sul sicuro?Punto sull’esperienza della Compagnia Rancia che ha importato questo genere di spettacolo in Italia.
Grease piace perché è sempre giovane, allegro con le sue musiche travolgenti. E, in un periodo come questo, un po’ di ottimismo non guasta. La cosa più importante sono gli interpreti: in 30 anni abbiamo cresciuto da zero generazioni di artisti che non hanno nulla da invidiare agli stranieri.
Però agli inizi non le credevano in molti.Io sono un attore di prosa, ho lavorato con Stoppa, Pambieri, Salerno e a quella passione sto tornando anche come interprete oggi. Ma allora, quando dicevo ai colleghi come sarebbe bello fare il musical mi prendevano per matto.
Quando è cambiato tutto?Quando abbiamo riadattato
La piccola bottega degli orrori: era uscito da poco il film, abbiamo fatto capire che c’erano interpreti giovani e sconosciuti ma bravi, ha funzionato. Poi è arrivata anche una collaborazione importante con Arturo Brachetti per cui abbiamo curato
Fregoli, c’è stata una svolta.
In Italia, però, da qualche anno si sono messi tutti a fare musical. Non è un genere inflazionato?La competizione può essere sana o meno sana, l’importante è che non si pensi che basti mettere lì due balletti per fare un musical. Bisogna conoscere la prosa, il teatro, puntare alla qualità come si fa a Londra o a Broadway. Invece in Italia c’è troppa confusione, lo stesso teatro vede in scena un musical serio e uno a livello amatoriale. E il pubblico, poi, si confonde. E se prende una fregatura, poi non torna a teatro.
Certo, la crisi non aiuta. Molti teatri che facevano musical in Italia hanno chiuso o vedono la sala mezza vuota, a differenza di qualche anno fa.Dunque, oggi non ci sono più le lunghe teniture a teatro, gli spettacoli non resistono più per mesi nello stesso posto. I turisti, poi, in Italia non vanno a vedere il musical. Anche una grande azienda come Stage Entertainment (che ha prodotto
La bella e la bestia e
La febbre del sabato sera,
ndr) è in crisi su questo aspetto. Quindi occorre girare l’Italia. E poi occorre sempre riuscire a dare emozioni. La gente sa che con il nostro marchio non possiamo imbrogliare.
Però allestire un musical di alto livello costa.Come minimo 300/400mila euro, nel nostro caso. Però occorre spenderli bene, e per un cavallo di battaglia come
Grease o come
Frankenstein Junior che va molto bene, ne vale la pena. E poi lo dico io che curo anche opere liriche, il musical non è un genere di serie B.
Molti giovani italiani cercano fortuna all’estero, anche gli interpreti italiani?I giovani artisti stentano in Italia, per fortuna l’Europa offre tante opportunità. Tanti dei ragazzi che ho formato ora lavorano in Inghilterra, Germania, Francia, Spagna. La Fatina del mio
Pinocchio ora è protagonista del
Re Leone a Madrid. Per me è motivo di vanto.