NAPOLI «Per me la macchina fotografica è un quaderno di schizzi, lo strumento dell’intuito e della spontaneità, il maestro dell’istante che, in termini visivi, nello stesso tempo si pone quesiti e decide». Così ha scritto Henri Cartier- Bresson, uno dei maestri della fotografia del Novecento. Il pensiero sintetizza il suo stile, la sua capacità di cogliere nello scatto una dimensione senza tempo, di stigmatizzare un evento anche ordinario con un respiro interiore. Può avvenire tale miracolo a partire dalla cronaca (il fotografo francese ha attraversato i grandi eventi storici del secolo scorso), ma anche da un accadimento marginale, colto
en passant nello scorrere della vita, come nel caso dell’immagine notissima, del 1932, che riprende un signore di certa età che tenta con un passo azzardato di saltare una pozzanghera e sembra spiccare il volo verso un destino sconosciuto. O in quella che riprende dall’alto dei gitanti sulla riva di uno specchio d’acqua, che diventano nello sguardo attori e spettatori dello stesso teatro naturale. A Cartier-Bresson è dedicata una mostra di cinquantaquattro opere fotografiche al Palazzo delle Arti di Napoli (PAN) a cura di Simona Perchiazzi: una mostra che raccoglie scatti tra i più noti del fotografo francese e che testimoniano in modo suggestivo nella loro bella sequenza quell’accordo tra rigore visivo e spontaneità che contraddistingue la sua opera. «Scattare fotografie vuol dire trattenere il fiato quando tutte le facoltà convergono sul volto della realtà fuggente » ha scritto ancora Cartier-Bresson; che ha aggiunto «questo atteggiamento richiede concentrazione, una disciplina mentale, sensibilità e un buon senso della geometria». Ciò si legge in particolare in alcune immagini. Per esempio in
Salerno, del 1933, in cui un mirabile gioco di ombre fa da quinta a un cono di luce su cui l’esile figura di un bambino con un carretto si staglia come simbolo di una condizione di vita. Straordinaria l’immagine della bimba che esulta come rapita lungo il bordo di un muro scrostato che diventa nella immaginazione un incredibile sipario floreale o un volo di farfalle. O quella più drammatica di un bimbo con le stampelle attorniato da un manipolo di coetanei, incorniciato con effetto scenografico da un muro sfondato dalla guerra. Altrove è lo stridente contrasto tra la carcassa di una vettura in primo piano e il passaggio in lontananza di un treno fumante nell’immensa prateria. La fissità della carcassa abbandonata blocca l’immagine, la pietrifica in un clima di improvvisa surrealtà. Ma l’immagine più affascinante della mostra napoletana è quella siglata
Srinagar, Cachemire, del 1948, che ritrae di spalle alcune donne, chi in piedi chi accovacciate, in abito tipico, sopraelevate rispetto alla vista di un pianura desolata contro un cielo corruscato. La loro postura e i loro gesti, colti dal fotografo con un forte contrasto di luce, aprono ad una dimensione di grande, magica spiritualità. Lo scatto nella trasposizione interiore sembra farsi immagine di preghiera.
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HENRI CARTIER-BRESSON The Mind’s Eye Fino al 28 Luglio Al Palazzo delle Arti una cinquantina dei suoi scatti più celebri. Il sentimento dell’istante che ferma la realtà e la rende eterna. Diceva che la macchina fotografica era per lui un taccuino Una foto di Henri Cartier-Bresson