Vuoi far sapere quel che pensi della televisione italiana alla diretta interessata? Liberissimo. A patto di pagare. Oltre al danno, poi, la beffa. Perché scopri che i call center che hai dovuto chiamare (altre possibilità non ce ne sono) non hanno un settore specializzato per le critiche – anzi, Sky proprio non le raccoglie – ma girano le opinioni degli utenti ai programmi stessi e non ai dirigenti, che invece dovrebbero controllare la qualità del prodotto. Tanto che in diversi, alla domanda se esiste nella loro azienda un "ufficio reclami", rispondono con un’eloquente confusione di idee. È il succo dell’inchiesta pubblicata su queste pagine mercoledì scorso. Vietato protestare? «Non c’è da stupirsi – commenta Luca Borgomeo, presidente nazionale dell’Aiart, l’associazione di telespettatori cattolici –. La scarsa attenzione all’utenza è un male del nostro paese. Lo vediamo a ogni livello, a partire dalla messa in discussione della rappresentatività del Parlamento e dei sindacati.». Il disincentivo alla critica «è un fatto di una gravità estrema perché sottrae potere al cittadino. E lo è ancor di più se attuato da una struttura pubblica come la Rai – continua Borgomeo –. È l’altra faccia della continua violazione dei regolamenti televisivi, specie per quanto riguarda i minori e la pubblicità». Quello di critica «è un diritto del pubblico» sottolinea Elisabetta Scala, responsabile dell’Osservatorio media del Moige (Movimento Italiano Genitori), «e quindi non dovrebbe trovare ostacoli nell’essere esercitato. Invece le televisioni alzano vere e proprie barriere verso il loro pubblico». Già, perché pagare 14,26 eurocent al minuto da fisso e 48 eurocent da mobile non scoraggia solo chi «rivolge richieste assurde e chi vuole insultare» come ha provato a spiegare uno dei call center. «Ma gli utenti italiani sbagliano a inoltrare le proteste alle tv» spiazza Carlo Rienzi, presidente del Codacons. «Non devono comportarsi come se vivessero all’estero, dove le emittenti temono e rispettano la giustizia. E per cui si autoregolano a partire proprio dal rapporto franco con gli utenti, evitando così eventuali ammende. Questo accade nei paesi "normali"». E in Italia? «Questa paura non c’è e quindi il rapporto con gli utenti non esiste». Il problema è una letale combinazione di un vuoto legislativo sul rapporto con l’utenza e una relativa sostanziale impunità. «Quello degli abusi televisivi è un fronte ampio su cui noi ci battiamo da anni e comprende anche un caso scottante come il televoto. I cittadini possono però rivolgersi alle associazioni, che raccolgono le denunce esercitando così pressione sull’Agcom, l’autorità per le telecomunicazioni». «E le battaglie, per fortuna, si vincono» commenta Pietro Giordano, segretario nazionale di Adiconsum, Associazione italiana difesa consumatori e ambiente promossa dalla Cisl. «Come nel caso di Alitalia, dove grazie a una trattativa e senza arrivare al contenzioso, si è riusciti a trasformare il call center a pagamento in un numero gratuito: come dovrebbe essere per ogni centro di raccolta delle lamentele e delle critiche». Una soluzione possibile anche per il caso delle emittenti tv: «Siamo disposti a fare nostra la battaglia, denunciando il fatto all’Agcom e aprendo un tavolo con le associazioni dei consumatori e le aziende interessate». Restiamo in attesa.