Il violista e direttore d’orchestra catalano Jordi Savall - David Ignaszewski
Il Lamento di Tristano del Trecento italiano e El rey Nimrod della tradizione sefardita. L’afghana Nastaran e le danze del repertorio berbero, bizantino e turco. E poi romanze siriane e salterelli di Alfonso X el Sabio. Non è un tempo perduto ma un tempo ritrovato quello che Jordi Savall porta in scena in Oriente Occidente, un progetto di lungo corso che domani sera fa tappa a Lodi, nell’ambito della Orfeo Week. Giunta alla terza edizione, quella ideata dal controtenore Raffaele Pe insieme al suo ensemble La Lira di Orfeo è una rassegna innovativa che esce dagli schemi del consueto festival musicale per incrociare suoni e dibattiti che dal mondo barocco si allargano gettando uno sguardo sul presente. Jordi Savall, uno dei maestri della musica antica, si esibirà in trio con il musicista turco Hakan Güngör e il percussionista greco Dimitri Psonis. Parte del ricavato sarà devoluto a sostegno dell’Emporio solidale del Lodigiano intitolato a don Olivo Dragoni.
Maestro Savall, il progetto di Oriente Occidente compie quasi 20 anni. Il mondo era diverso. Oggi suona in modo differente?
«La carica di questo programma è la stessa, non è cambiata. I problemi, invece, in questi venti anni si sono acuiti. Anche per questo continuiamo a portare avanti questo dialogo. Sono convinto che la gente senta che con questa musica a entrare in dialogo siano le anime. Perché va nel profondo della nostra sensibilità. È un aspetto su cui insistere. Se lo cose non funzionano è proprio perché manca il dialogo delle anime».
Il repertorio è cambiato negli anni?
«Lo spirito è lo stesso ma ho fatto molti programmi diversi, con diverse forme e in funzione dei musicisti. A Lodi saremo in tre e metteremo in dialogo strumenti importanti per quell’epoca che va dal XII al XVI secolo: oud, santur, ribeca, viola da gamba... Il repertorio incrocia le tradizioni di popoli e fedi interno al Mediterraneo. La spirito della musica diventa un mezzo per ritrovarsi. Abbiamo bisogno di connettersi all’emozione e alla bellezza».
Oriente e Occidente hanno sviluppato tradizioni musicali diverse. Cosa rende possibile il dialogo? E qual è il rischio sotteso a operazioni di questo tipo?
«Il rischio è fare una world music senza radici e in cui tutto è confuso. Ciò che ci permette di dialogare è invece è l’impiego delle nostre tradizioni. Hakan Güngör e Dimitri Psonis, ognuno con il proprio stile, fanno emergere il complesso mondo musicale da cui provengono, io ho lavorato sulla tradizione medievale europea, da Alfonso el Sabio alla Parigi del Duecento. Ci sono un linguaggio e una prassi comuni che attraversano tutto il Mediterraneo e che in Europa si interrompono con la nascita della polifonia e la codificazione delle leggi dell’armonia. Se portassi Marin Marais non ci sarebbe possibilità di dialogo alcuna. Io stesso ho imparato a eseguire la musica del Medioevo quando ho conosciuto musicisti dal Marocco, da Istanbul, da Israele, il cui stile era basato sulle stesse forme, sull’improvvisazione, su una comune interpretazione del ritmo. È una tradizione che noi abbiamo perduto nel momento in cui abbiamo inventato la musica scritta».
La musica può avere un valore di diplomazia culturale?
«No. È una questione di testimonianza: far sentire l’emozione che ci dà l’essere insieme con musiche diverse, e in questo modo lasciare che emergano la nostra autenticità, le nostre radici. Si tratta di trasmettere la bellezza di questa musica, condividere le nostre visioni».
Orfeo forse non è il più celebre di miti dell’antichità, eppure è quello che appare più duraturo. Nessuno da tempo rievoca le dodici fatiche di Ercole, ma Orfeo non è mai tramontato. Secondo lei perché?
«A mio avviso perché Orfeo è il personaggio mitologico che ha mostrato che la musica ha un grande potere. Quando la musica diventa un mezzo spirituale può fare cose meravigliose. La musica ha un grande potere, che viviamo continuamente. Sono un musicista, faccio musica ogni giorno, sento il potere della musica nella mia anima e nel mio corpo. Lo vedo in azione nelle persone durante un concerto. Lo abbiamo visto negli ospedali pediatrici calmare il dolore dei ragazzi, che per qualche momento dimenticano la malattia. È un elemento fondamentale dell’essere umano. Ma deve essere autentica».
Orfeo era capace di ammansire le belve, gli dei degli inferi e persino di muovere le pietre. In una delle versioni del mito, però, finisce per essere dilaniato dalle Baccanti. È un racconto sulla sconfitta della musica davanti alla violenza?
«La musica non può evitare le guerre o che le bombe cadano. La musica va da uomo a uomo. È una fonte di educazione, una medicina spirituale. Con la musica non possiamo arrivare a fare la pace, se coloro che hanno il potere sono bestie inumane. Ma dobbiamo sapere che se questo succede è perché il mondo occidentale non ha una voce unita. Siamo tutti responsabili di quanto sta accadendo».