sabato 4 gennaio 2025
A dieci anni dalla morte, da oggi per tre giorni nelle sale “Pino Daniele. Nero a metà” ricorda il bluesman napoletano. Tra i testimoni i suoi storici musicisti Tullio De Piscopo e James Senese
Pino Daniele celebrato nel decennale della scomparsa e nel settantesimo della nascita, il prossimo 19 marzo

Pino Daniele celebrato nel decennale della scomparsa e nel settantesimo della nascita, il prossimo 19 marzo - Ansa

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«Tu dimmi quando, quando…» dove sono i tuoi occhi e la tua voce? Questo verrebbe da chiedersi con un velo di ‘A pucundria alla Eduardo De Filippo, dieci anni dopo che Pino Daniele, l’ultima grande anima di Napoli, il 4 gennaio 2014, a soli 59 anni, è volata via, Lassù. Ma quella voce, unica e inconfondibile, risuona ancora per i vicoli della città dove è nato. E da quella piazzetta di Santa Maria la Nova, in questi giorni invasa dalla massa turistica modaiola, è partito il viaggio nel ventre di Napoli, passando per gli splendori e le miserie del Rione Sanità, il Porto, Santa Lucia… e infine alzando il sipario della nobiltà, nella meraviglia segreta dell’assai poco accessibile Teatro di Palazzo Reale.

Questa è la Napoli di Pino Daniele e anche quella dei suoi compagni di vita e di palco. Un viaggio per immagini, con la colonna sonora naturale fatta di musiche e parole scritte dal cantautore napoletano per antonomasia. Ed è un viaggio dell’anima, quello realizzato dal suo amico e storico produttore Stefano Senardi che con il docufilm Pino Daniele. Nero a metà, diretto da Marco Spagnoli e prodotto da Fidelio ed Eagle Pictures, ha reso un altro omaggio emotivamente forte quanto quello dedicato a Franco Battiato con La voce del padrone sempre con la regia di Spagnoli.

«È la prima volta che torno a Napoli dopo che Pino non c’è più. Sono venuto alla ricerca del suono e di quella voce che fa piangere», racconta Senardi all’inizio del docufilm e poi alla fine dell’incontro nell’anteprima che si era tenuta nei giorni scorsi al Cinema Anteo di Milano ( Pino Daniele. Nero a metà arriva nelle sale il 4-5-6 gennaio). Quel suono e quella voce che cantava nella lingua della sua gente si propagò come un’onda anomala in un lustro magico, cominciato nel 1977 con la pubblicazione di Terra mia e conclusosi nell’estate del Mundial dell’82 con l’album Bella ‘mbriana. In mezzo due momenti in cui quel ragazzone scanzonato figlio dei “bassi” e cresciuto con basso e chitarra in mano, è stato protagonista, e non solo per la musica.

Due notti che hanno segnato la svolta nel costume nazionale e inaugurato il nuovo decennio: Milano 27 giugno 1980, l’apertura con la sua band del concerto di Bob Marley, davanti ai 100mila spettatori di San Siro, e poi il 19 settembre 1981, con quella stessa band, il concerto di Napoli, in piazza Plebiscito dove si diedero appuntamento in 200mila. «E lì cambiò tutto» afferma il virtuoso della batteria Tullio De Piscopo che ricorda il giorno dell’incontro con Pino, preannunciato da una telefonata del padre. «Una sera l’aveva sentito suonare e mi chiamò: “Tullio, qui ci sta uno guaglione che dice le stesse cose che pensi tu…”.».

Con De Piscopo, sul palco – quella notte, che ha segnato la memoria di un’intera generazione – salirono l’“afrousanapoletano” James Senese con il suo sax e Tony Esposito con i suo percussionismo esotico, il quale emozionato ammette: «Tra noi scattò una connessione magica». De Piscopo, Senese, Esposito, tre solisti affermati, decidono di mettersi al fianco di quel talento straordinario. «Dopo quel concerto non si capiva più niente, un trionfo – continua De Piscopo – . Alla fine noi andammo a mangiare, invece Pino rimase a piazza Plebiscito. Lo ritrovammo nel camper, parcheggiato dietro al palco. Se ne stava lì, a pensare. Aveva capito che da quel momento la sua vita non sarebbe più stata la stessa».

Sensazione condivisa da Senese che Senardi per il docufilm va a scovare nella sua Miano, periferia Nord di Napoli, dove, James, figlio di un afroamericano e di una napoletana, è nato e cresciuto, e dove anche i giovani artisti della Street Art partenopea gli rendono onore, come a Pino e a Maradona, con un murales che impreziosisce un anonimo palazzo dell’edilizia popolare. «Pino lo presi con me due anni, ma a suonare il basso nella mia band, Napoli Centrale», sottolinea ricordando la gavetta e gli esordi musicali di Pino Daniele che aveva un piano preciso in mente: scuotere la coscienza popolare e sfollare i luoghi comuni intorno alla città, specie quelli sulla sua sottocultura. E per farlo aveva trovato un’alleata: «La musica, che è la mia passione e anche una missione».

Quella voce gutturale che si intonava con il suono della chitarra, di cui divenne un epigono a livello internazionale, e quella capacità di scrittura rapida, fenomenale («aveva musica e testo poetico già dentro di sé e in 5 minuti veniva fuori la canzone », opinione di Enzo Avitabile e di altri artisti che l’hanno conosciuto. Il produttore Bruno Tibaldi, direttore artistico della Emi dal 1972 all’81, intuì che con Pino sarebbe stata una scommessa, ma la vinse. «Ho creduto subito nella potenza di Terra mia, così come di Nero a metà e Bella ‘mbriana. Terra mia è un brano che quando l’ho ascoltato la prima volta ho provato i brividi – racconta Tibaldi –. Poi ho sentito Napule è e ho capito subito che si trattava di un capolavoro».

Un inno alla città. La forza del docufilm sta in una splendida fotografia, ma soprattutto nel controcanto affidato ai suoi “fratelli musicali”. «Pino era capace di valorizzare tutti i musicisti che lavoravano con lui – continua De Piscopo –. Con lui niente prove, si andava su e si suonava. C’è quella foto allo stadio di Cesenatico in cui mangiamo un’anguria rossa come il fuoco, lì eravamo a suonare dalle 16.30 fino a quasi l’ora del concerto. Noi facevamo musica uagliò e mo’ a musica a do sta’? A 1400 studenti liguri a Sanremo tempo fa abbiamo fatto una lezione, due ore senza cellulare e alla fine quando l’hanno riacceso è stato per fare la ricerca su Google per capire chi fosse sto Tullio De Piscopo che gli aveva parlato di Pino Daniele. Beh adesso sanno anche loro chi era, anzi chi è Pino e la sua musica».

La musica di Pino Daniele non morirà mai perché le nuove generazioni la scoprono e ne restano folgorati. Per la chiusura del docufilm Senardi ha scelto la stanza 418 dell’Hotel Santa Lucia che guarda al mare e alla fortezza di Castel dell’Ovo: qui Pino Daniele incontrò Massimo Troisi e insieme provarono la loro canzone, Quando, che divenne la colonna sonora del film Pensavo fosse amore… e invece era un calesse. Quello per Pino Daniele è un amore che non finirà mai perché, come Eduardo in teatro e Troisi nel cinema, lui nella musica ha saputo raccontare Napoli e dipingerne i suoi mille culture.

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