La Rocca Paolina che fa come da terrazza al centro storico è poco più avanti. Sulla scrivania Alessandro Campi ha gli appunti di alcuni suoi editoriali che vengono pubblicati su numerose testate. «È innegabile che Perugia stia attraversando una fase difficile», spiega il docente di Storia delle dottrine politiche all’Università degli Studi. Al declino della città hanno contribuito più cause. «Ragioni antiche si sono sommate a vicende più recenti – afferma il politologo –. Molto ha contato il depauperamento del suo storico tessuto industriale: dalla cessione della Buitoni-Perugina alla scomparsa di marchi come Ellesse nel comparto dell’abbigliamento. Aggiungerei l’impoverimento politico-culturale dei gruppi dirigenti locali. La sinistra, in particolare, è divenuta il partito degli assessori: bravi nell’amministrare il consenso in una logica di scambio, ma privi di respiro progettuale».
Specchio dello smarrimento è il nucleo storico: aveva 25 mila residenti; oggi ne conta 7 mila. «Parecchio – prosegue Campi – ha inciso l’apertura, mossa da logiche speculative e da interessi politici, di poli commerciali e direzionali nelle zone di periferia: dal centro cittadino sono scomparse attività commerciali, cinema, punti di ritrovo e uffici. Alla fine se ne sono andati anche gli abitanti. È infine scoppiato il caso Meredith che ha creato alla città un incredibile danno d’immagine. Una città che gli italiani conoscevano per il cioccolato o per aver ospitato il primo parco giochi italiano, la famosa “Città della domenica”, si è vista descritta all’improvviso coma la capitale della droga. La manipolazione si è sommata alla superficialità giornalistica: un caso mediatico meritevole di essere studiato». Raccontano in città che a distanza di sette anni dall’omicidio della studentessa inglese continui il pellegrinaggio dell’orrore nella casa dove la ragazza è stata uccisa, a due passi dall’Università per stranieri.
«Il peso della microcriminalità a Perugia si sente per differenza – sostiene il professore –: vent’anni fa non esisteva; oggi appare allarmante anche se altre medie città italiane hanno gli stessi indici criminali. Però qui nel nome del multiculturalismo e dell’accoglienza si è scambiata la tolleranza col lassismo. Le colpe della politica, fautrice dell’integrazione a chiacchiere, sono state decisive». L’Umbria è la seconda regione italiana per incidenza di stranieri. A Perugia sono il 13% e si arriva al 15% se si considerano gli studenti.
Per di più il governo locale non ha avuto ricambi di “colore” politico. Almeno fino allo scorso giugno. «C’era un desiderio profondo di cambiamento, abbinato a una certa stanchezza nei confronti di una classe politico-amministrativa di sinistra che era diventata autoreferenziale e spocchiosa proprio a causa della sua lunga permanenza al potere – racconta il politologo –. La fortuna del centrodestra perugino, che nel corso degli ultimi anni non aveva brillato all’opposizione, tanto da far malignare sull’esistenza di una sorta di tacito accordo di spartizione, è consistita nell’incrociare al momento giusto questo malumore diffuso e soprattutto nell’affidarsi a un giovane candidato a sindaco che è stata la vera sorpresa. Una personalità garbata, un cattolico proveniente dal mondo scout, niente a che vedere con lo stereotipo del berlusconismo, che ha portato dalla sua il voto della grande maggioranza dei giovani e di molti elettori del centrosinistra infastiditi dai litigi interni al Pd».
Con la corsa per il titolo di Capitale europea della cultura, Perugia sceglie di puntare sul fattore “C”, inteso come cultura. «Si cerca di immaginare un nuovo modello di città: la “città delle idee”, come è stata chiamata, orientata sul versante creativo, del terziario, della progettazione. E poi c’è l’intuizione, secondo me vincente, che l’innovazione dipenda dalla capacità ideativa dei giovani che sono i veri attori del progetto perugino».