
Il pontificio santuario della Beata Vergine del Santo Rosario di Pompei - WikiCommons
Pompei è un libro di storia sempre aperto. I capitoli non si contano, tanto sono numerosi e importanti. L’Anno santo ne ha aggiunto di nuovi, e tutti particolarmente significativi: i 150 anni dell’arrivo del Quadro della Vergine del Rosario – un giubileo nel giubileo per la chiesa locale -, l’annuncio della canonizzazione di Bartolo Longo. E ora la scoperta di un dipinto di Andrea Mantegna, dedicato alla Deposizione di Cristo. Uno splendido trittico pompeiano che tuttavia rimanda ai due indici fondamentali: da un lato, le origini della città pagana, racchiusa nella impareggiabile cinta degli scavi, dall’altro, la “Nuova Pompei”, la città mariana fondata, oltre un secolo fa, da Bartolo Longo. Tra l’una e l’altra realtà, un silenzio di circa duemila anni. Così, non poteva scegliere un tempo più propizio per venire alla luce, il capolavoro che ha già preso il nome del “Mantegna di Pompei”. Dopo l’esposizione ai Musei vaticani, è pronto il posto d’onore nella pinacoteca della città mariana. Ma ancora più vasto è lo spazio che l’opera si vede assegnata dalla storia, in virtù di una sua naturale eloquenza. Sul piano dell’arte, il dipinto si pone a presidio di ciò che il Quadro della Vergine, recuperato da un convento di Napoli, ha rappresentato per il Santuario e la nascita della città. Al binomio fede- carità, costitutivo per Pompei e le Opere sociali, ecco aggiungersi l’arte. Il “Mantegna di Pompei” è il segno che riaccende un dialogo a vasto raggio, estendendolo come nuovo ponte tra mondi estranei e lontani. Di questa sua funzione, Il capolavoro ritrovato quasi ostenta le prove, oltre la suggestione e la bellezza dell’immagine, e nella perfetta consonanza dei tempi. L’opera è di quel tempo tra il quindicesimo e il sedicesimo secolo, che Bartolo Longo studiò a fondo per rinvenire le radici della città cristiana, cresciuta intorno alla parrocchia del Santissimo Salvatore, la prima in assoluto in Valle di Pompei e alla quale fu anche assegnato il singolare privilegio dell’elezione diretta del parroco. Per il fondatore era questo il vero inizio della storia cristiana dell’antica Valle. A nessuno poteva mai venire in mente di parlare, per le due Pompei, di radici comuni, trattandosi, in realtà di mondi diversi. Più che diversi, opposti: pagana la città raccontata negli ultimi momenti di vita da Plinio il Vecchio, cristiana la seconda, costruita intorno al Santuario, faro di spiritualità ma non solo perché punto di partenza anche per lo sviluppo urbano del territorio. Meraviglia poco che da un capo all’altro di queste due diverse storie, si sia poi sviluppata una contesa. Non è un mistero che la “Nuova Pompei”, nella visione del Fondatore sia stata concepita come una sorta di riscatto della cristianità che veniva a colmare il vuoto e l’assenza di fede. O quantomeno non è passata inosservata l’enfasi con la quale Bartolo Longo ha contrapposto le due Pompei, parlando, a proposito di quella antica, di “una grandezza che non oltrepassava la tomba e nulla sapeva dei futuri destini dell’umana specie” e identificando i suoi monumenti - il Foro, il Pantheon, il tempio di Augusto, i due teatri e l’Anfiteatro- come “scheletri di giganti dissotterrati da un silenzio diciotto volte secolare.” Aveva una forte presa anche su di lui quella “contrapposizione barocca” alimentata dalla stessa tradizione classica. Ma la familiarità di Pompei con la storia ha poi favorito la ricerca di qualche elemento di pur lontana congiunzione. L’impulso più forte è scatrito dall’importante schiera di storici della chiesa nel Mezzogiorno, guidata da Gabriele De Rosa. Punto di svolta fu un fondamentale convegno storico (“Bartolo Longo e il suo tempo”) promosso dallo stesso studioso, svolto a Pompei nella primavera di 43 anni fa. Da allora, si può parlare di un dibattito ancora in corso, che tiene conto di nuove acquisizioni oltre che di uno studio più approfondito sulla figura dell’avvocato di Latiano. Nel frattempo, anche la “frattura” tra la città degli scavi e quella di Maria è andata via via, almeno in parte, ricomponendosi. Non sono più totalmente estranei gli uni agli altri i visitatori degli scavi e i pellegrini che si recano al Santuario. È il Mantegna di Pompei, ora a innescare, attraverso il linguaggio e l’eloquenza dell’arte, un discorso di collegamento e insieme di prospettiva. Come un Quadro, quello della Vergine, arrivato a Pompei per vie avventurose, ha segnato la storia della città moderna, così un altro dipinto segna ora un nuovo inizio nei legami e nei punti in comune tra realtà così lontane nel tempo, seppur territorialmente così vicine. La scoperta del Mantegna apre di fatto la strada non solo a un lavoro culturale, ma alla concreta integrazione delle due grandi realtà di Pompei, il complesso degli scavi e la città mariana. In totale sono sei milioni ogni anno le presenze sul territorio che li ospita entrambi. Basterebbe questo dato a indicare il controsenso di voltarsi le spalle, e di considerare a senso unico, ancora oggi, le vie che portano alle due storie di una città diventata unica come Pompei. Il Mantegna ritrovato può essere ora il più straordinario e prestigioso cartello indicatore di un percorso originale e nuovo.