martedì 18 febbraio 2025
Un libro di Marco Bouchard, esperto di giustizia riparativa, analizza uno stato d'animo sempre più inattuale. Arrossiremo ancora quando ci renderemo conto di aver sbagliato?
Rä Di Martino, “The Picture of Ourselves”, 2013, video 04’22’’

Rä Di Martino, “The Picture of Ourselves”, 2013, video 04’22’’ - Mart, Collezione VAF-Stiftung. Dal 26 febbraio al 4 maggio alla Galleria Civica di Trento la mostra del Mart “Intelligenze emotive” esplora il tema dell’emotività come una forma di intelligenza sociale fondamentale per le relazioni umane

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Sarà la vergogna a salvarci? Con questa domanda chiudiamo l’intenso libro che Marco Bouchard dedica a questo sentimento (La vergogna del giusto e dell’ingiusto. Storie e pensieri di un’emozione inattuale; Bollati Boringhieri, agine 158, euro 14,00). E già il sottotitolo mette a fuoco le domande che si intrecciano col racconto. La vergogna - sentimento che ci distingue dagli animali perché solo noi arrossiamo in viso - «ci insegue attraverso lo sguardo altrui» e ci accompagna dall’infanzia fino alla morte. Il suo insorgere, nel bambino, differenzia «il Sé come soggetto che agisce dal Sé come possibile oggetto di auto-osservazione». Bouchard, esperto di giustizia riparativa e presidente di Rete Dafne Italia (associazione dedicata al supporto delle vittime di reato), seziona e analizza questa emozione con passione storica e letteraria, su cui aleggia, costante ma non invadente, l’etica profonda dei padri valdesi.
Bouchard si sofferma a lungo sulla differenza tra senso di colpa e vergogna, spesso invece confusi nel sentire comune e in letteratura. Proviamo il senso di colpa quando avvertiamo di aver sbagliato. Ma ciò ci «permette di isolare il fattore che lo provoca e ci introduce alla possibile riparazione». La vergogna è più pericolosa e invadente, più difficile da isolare, è un «filo interiore ipersensibile e doloroso» che ci connette agli sguardi che posano su di noi gli altri, di cui avvertiamo il giudizio («con la vergogna scopro un aspetto del mio essere» come lo vedono gli altri, ci ricorda Sartre). Per questo la vergogna può avere una funzione edificante, perché, ricordandoci che noi esistiamo al cospetto degli altri, può «esserci indispensabile nella costruzione dell’etica pubblica». Ma lo sguardo altrui può essere persecutorio, come nella icona letteraria della lettera scarlatta A cucita sul petto di Hester Prynne, per bandirla dalla sua comunità. È l’esposizione della vergogna, che oggi trova un succedaneo nelle manette ai polsi dell’arrestato, immortalate con un clic di un secondo ma poi affidate alla gogna senza tempo della rete.
La vergogna può anche essere terribilmente cattiva. Perché, in certi contesti, l’angoscia di poter essere messi ai margini del gruppo di appartenenza può condurre a commettere crimini efferati: «ho sparato con gli altri perché nessuno vuole essere considerato un codardo, uno smidollato». Così si giustificherà un riservista tedesco che nel 1942 partecipò ad una strage di donne e bambini ebrei in Polonia. Ma c’è anche la “vergogna del giusto” di Primo Levi: «quella che i tedeschi non conobbero, quella che il giusto prova davanti alla colpa commessa da altri».
Con questi parametri sullo sfondo, Bouchard si addentra nell’analisi di come il sentimento sia stato sentito e descritto nella storia dell’uomo, in un colto e avvincente racconto che va dalla letteratura greca classica al cinema dei giorni nostri. Dai dialoghi di Platone e dai poemi omerici alla lettura teologica dell’Etica di Dietrich Bonhoeffer («la vergogna è il ricordo che l’uomo ha della propria origine»). Dalla vergogna come alimento della vita giudiziaria alla vergogna usata (non in Italia) come leva nel combattere l’evasione fiscale tramite la pubblicazione degli elenchi degli evasori. Dalla vergogna di Adamo ed Eva, che mascherano la loro nudità solo dopo aver mangiato il frutto ed aver scoperto la differenza dei loro corpi (ancora una volta, lo sguardo dell’altro) alla vergogna della ragazza che, a dodici anni, vede il padre aggredire la madre brandendo una roncola.
Ma se oggi la comunicazione attraverso i social «neutralizza lo sguardo altrui» - sottraendo a chi comunica con noi la comunicazione non verbale, la mimica facciale, il rossore – come cambierà, nel lungo futuro, questo sentimento? Arrossiremo ancora? Lo sguardo degli altri sarà ancora utilizzato come «veicolo di trasmissione di valori e principi» o sarà invece denunciato come «indebita intromissione nelle insindacabili scelte personali?». E, comunque, quali sono i connotati dell’odierna vergogna? L’idolo del successo e dell’apparire fa sì che oggi ci si vergogni non per aver violato le regole dell’onore ma per l’incapacità «di conformarsi agli standard di successo della comunità?». Bouchard però ci lascia con uno squarcio di luce sul futuro. Se di fronte ad un naufragio, istituzioni e associazioni si prodigano, al di là del dovuto, non solo per salvare vite ma – come è accaduto - per dare dignità alle vittime ricostruendo con pazienza la loro identità, ciò non vuol forse dire che quello sguardo d’altri che penetra gli individui è capace anche di raggiungere e scuotere i corpi sociali che sono il tessuto del nostro vivere civile? Alla fine, quello sguardo d’altri è, per la collettività, il richiamo dei padri e delle nostre tradizioni. Quello può salvarci.
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