L’attore Elio Germano sarà protagonista del film “L’amico – Francesco d’Assisi e i suoi fratelli”, del francese Renaud Fely, incentrato sugli ultimi anni del santo vissuti nella prima comunità francescana alle prese con il potere.
È proprio fatto così. Nato per essere attore: trentacinque anni, trentacinque film. Si è adattato a questo mestiere con fatica, non perché non gli piaccia leggere sceneggiature, discutere con un regista, mettersi su un set e recitare. Lo sconforta e lo disturba, piuttosto, ciò che sta attorno al cinema.Elio Germano lo ha sempre evitato, pur se è conscio del dovere di giocare questa partita, strenuo difensore delle sue idee, delle sue scelte. Le ribadisce arrivando a Lecce, dove il Festival del Cinema Europeo gli regala una retrospettiva e gli conferisce un Ulivo d’oro. È sincero anche quando commenta i recenti David di Donatello: «Si scommette sempre su qualcosa che ha già funzionato. Cinema e arte dovrebbero uscire da questo meccanismo della scommessa. L’arte non garantisce certezze, anzi le mina. Il cinema dovrebbe produrre stupore e novità nelle piccole e personali rivoluzioni. Sono comunque felice per Genovese, Mainetti e Garrone, che ha fatto un lavoro mostruoso». «Nell’arte le cose che si vedono troppo – precisa – inquinano il rapporto con lo spettatore. Certo, c’è un cinema fatto per incantare il pubblico, altri film hanno però finalità diverse, forse più alte». Ma è l’occasione per parlare anche del mestiere dell’attore. «Questo lavoro mi ha regalato nella vita la possibilità di perdermi, di fare viaggi, esperienze sempre diverse. Girare un film non è soltanto il mio mestiere e il modo per portare a casa uno stipendio, diventa anche la possibilità di crescere in termini di umanità ». Per lui, inoltre, la sceneggiatura «è come un menù: sei tu che scegli – dice – ed è diverso per forza di cose ciò che decidi di mangiare. La sceneggiatura è sempre una traccia, che spesso è scritta prima di tutto per convincere i produttori. Vado volentieri dove sento che c’è voglia e partecipazione, perché il set è un luogo di lavoro collettivo. Penso che niente nella vita ti restituisca più piacere che fare le cose in condivisione, assieme agli altri. La felicità non è vincere, ma condividere». Poi però arriva il momento dell’uscita del film. «Nel cinema l’attore è come l’inchiostro per uno scrittore, significa essere uno strumento al servizio del film. Invece, ti idolatrano, mentre noi attori facciamo un lavoro assai meno qualificante di quello di un cardiologo». Germano ha appena finito di girare con Gianni Amelio La tentazione di essere felici. «Il film è liberamente ispirato al romanzo di Lorenzo Marone – racconta – e nemmeno sarà quello il titolo... ». Insomma, non ne vuol parlare. Del suo San Francesco, invece sì. «È un film francese, diretto da Renaud Fely, con Jérémie Renier nei panni di frate Elia e Alba Rohrwacher in quelli di santa Chiara. Si intitola L’amico – Francesco d’Assisi e i suoi fratelli. Io interpreto il Poverello nella comunità francescana, questa comunità di “pazzi” molto ispirata che vive e subisce, agli albori del XIII secolo, difficoltà di ogni genere. Il film, girato soprattutto in Francia e per qualche giorno nei dintorni di Gubbio, si concentra sul gruppo di chi seguì Francesco e sulla dimensione anche politica che dovette affrontare». «Io non sono laureato, ho soltanto finito il liceo - continua -, ma mi prendo sempre il tempo necessario per studiare a fondo i miei personaggi. Ad Assisi ci sono grandissime biblioteche, le ho frequentate, ho confrontato gli scritti sulla vita di san Francesco nelle sue diverse versioni. Il film affronta un Francesco maturo, anni dopo la sua conversione. Un percorso affascinante per l’attualità estrema del pensiero francescano e per come la Chiesa reagì a una simile rivoluzione spirituale e di pensiero. È una situazione che si rinnova secondo me anche oggi, calata in tante realtà dolorose. La storia di Francesco diventa addirittura una metafora per leggere molti dei fatti e delle crisi del nostro tempo».