«Ciao cara, corro a prendere la cabinovia, altrimenti arrivo tardi al lavoro». Cameriere in un rifugio di montagna? Guida alpina? Abitante di un villaggio svizzero raggiungibile solo in funivia? Non è detto. Anzi, quel saluto mattutino è e sarà sempre più diffuso in città e in situazioni affollate di impiegati, studenti, massaie, genitori impegnati a portare i figli a scuola. Insomma, gli ambienti tipici del pendolarismo urbano. Nati in montagna – dove sin dai tempi remoti servivano a trasportare a valle fieno e legname e, in tempi più recenti, a portare in quota turisti estivi prima e invernali poi – gli impianti a fune hanno iniziato da qualche decennio a scendere in città. Ora, però, il fenomeno sta prendendo dimensioni importanti e il “motore” sono le megalopoli sudamericane e asiatiche, afflitte da enormi problemi di mobilità. «Gli impianti a fune si integrano perfettamente ai sistemi di trasporto di superficie e sotterranei», spiega Anton Seeber della Leitner Ropeways, con sede a Vipiteno – tremila dipendenti e dieci stabilimenti nel mondo: un gruppo interamente italiano tra le poche aziende globali che guidano la discesa dai monti alle città. «Laddove altri sistemi sono impossibili da realizzare o troppo costosi, gli impianti a fune diventano
la soluzione». Mentre il colosso austriaco Doppelmayr- Garaventa (che opera anche con una controllata italiana, che ha sede anch’essa in Alto Adige, a Lana) annuncia un’importante commessa a Bogotà e festeggia la prima pietra di un gigantesco impianto a La Paz, la Leitner risponde con Città del Messico, dove sarà realizzato un impianto lungo sei chilometri e con sette stazioni intermedie che serve ad alimentare la stazione degli autobus. La funivia si trova nel sobborgo di Ecatepec ed è probabile che papa Francesco, che celebrerà il 14 febbraio la Messa in una grande spianata a poche centinaia di metri di distanza, possa intravedere piloni e cabine, in questi giorni pronti per il collaudo. Il Sudamerica con le sue megalopoli e le relative sconfinate e quasi sempre emarginate periferie è il terreno di elezione per le funivie urbane. A Medellín, in Colombia, Leitner ne ha realizzate ben sei, a Cali ne è stato appena completata un altra ma cabinovie sono attive anche in Turchia, Malaysia e Giappone. Le tecnologie sono identiche a quelle che vediamo applicate in montagna – i tecnici italiani sono orgogliosi di un motore a basso consumo energetico – ma in città gli impianti lavorano a ritmi molto più intensi, sino a sedici ore al giorno, 360 giorni all’anno: a Medellín in dieci anni la prima teleca- bina installata ha portato quindici milioni di passeggeri all’anno. Così, se nelle metropoli più evolute le “funivie di città” sono quasi sempre al servizio del turismo – come a Lisbona, a New York, a Londra e a Hong Kong –, e se in generale gli impianti a fune come il “trenino” nel centro di Las Vegas e i “people mover” di Perugia e Venezia sono percepiti a mezza via tra il divertimento e la comodità, è nelle megalopoli dei Paesi emergenti che le “metropolitane del cielo” diventano un servizio che può letteralmente cambiare la vita di milioni di persone. Infatti, non si tratta solo di impatto sul traffico e sull’inquinamento: le funivie hanno tempi di percorrenza regolari, non generano ingorghi né incidenti, sono progettabili in modo da ridurre l’impatto visivo e inserirsi nell’ambiente ma, soprattutto, in molte situazioni diventano l’unico modo per sbloccare e mettere in circolo energie sociali. «A Rio de Janeiro – spiega Seeber – i 250mila abitanti di una favela non potevano accedere alla linea ferroviaria: troppo distante e troppo costoso progettare una derivazione. La nostra telecabina oggi permette a quelle persone di raggiungere comodamente il treno – le autorità hanno messo a disposizione di tutti una corsa di andata e ritorno gratis al giorno – e quindi di raggiungere il centro ed entrare nel mercato del lavoro». È evidente che vantaggi così potenti diventano anche un fattore di pressione democratica da parte degli utenti delle classi meno agiate che, visti gli esempi positivi, chiedono con insistenza alle autorità delle megalopoli di adottare questi tipo di soluzioni. E se nella altoatesina Bressanone un referendum popolare ha recentemente detto no alla costruzione di una funivia di raccordo tra ferrovia e impianti sciistici che avrebbe sorvolato la città, non è andata così in molte città asiatiche e sudamericane. Anzi, spiega un tecnico che ha lavorato in Colombia: «La gente più umile per la prima volta ha potuto, dall’alto, avere una visione d’insieme delle proprie abitazioni e del proprio ambiente di vita. Non certo un spettacolo attraente, in certe periferie più degradate. Ebbene, questo è stato un stimolo alla gente per mettersi assieme e realizzare abbellimenti e migliorie che rendessero più piacevole poter dire, passandoci sopra: questa è casa nostra».