Cappelle, oratori, santuari agresti, crocifissi e immagini sante costellano tutta l’Europa. Ma la densità di questi siti è tale che ogni territorio si caratterizza per uno speciale
genius loci e anche il contesto più piccolo riesce a dare un sapore particolare ai propri luoghi sacri. Come, ad esempio, gli oratori costruiti dalle genti che hanno abitato la valle del Rossenna, nel Frignano, raccolte sotto l’antica pieve di Polinago.A monte la valle è ampia e fertile. Intorno fanno corona le vette dell’Appennino modenese fino ai duemila metri del Monte Cimone. Poi, nella sua discesa verso il Secchia, il Rossenna è costretto a farsi strada tra pareti sempre più scoscese. Tra Gombola e Talbignano, dove il flusso dell’acqua è più tumultuoso, nascosto tra frassini e querce sorge il più suggestivo degli oratori di Polinago, quello dedicato alla Santa Croce. Non è un caso che molti luoghi sacri si trovino in prossimità di fonti e corsi d’acqua: lì si manifesta il mistero del creato. In molti casi il loro atto di nascita si cristallizza in leggende. Non è così per l’oratorio di Santa Croce. La manifestazione del divino ha una data precisa: il 3 aprile del 1769.Quel giorno Bartolomeo Casolari, mentre con il figlio Paolo si recava al lavoro, giunto alla confluenza tra il torrente Cervaro e il Rossenna vide come disegnata sopra un masso una croce. Si gridò al miracolo e in molti dal modenese, dal reggiano, dal mantovano si mossero per vedere il segno che, si dice, era visibile anche di notte dalle cime circostanti. Il parroco don Domenico Serri costruì tre pareti per riparare i devoti. Nel 1803 don Paolo Casolari, il piccolo testimone dell’evento divenuto sacerdote fu nominato curato proprio a Gombola, completò l’edificio, ma nel 1842 la violenza di una piena trascinò con sé le mura: resistette solo quella con il segno miracoloso. La famiglia Casolari ricostruì allora l’oratorio in forma ottagonale con una piccola cupola. Le pareti di pietra nuda conferiscono un sapore ruvido, quasi arcaico, alla struttura, la cui pianta centrale rimanda invece alla tradizione colta, derivante dalla basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme. Difficile dire quanto in modo volontario, ma la lingua rustica del piccolo oratorio appenninico riassume in modo semplice i misteri della croce e della Pasqua.L’oratorio della Santa Croce è solo uno dei molti edifici di culto del comune di Polinago. Un territorio ampio, fortificato fin dai tempi di Matilde e molto differenziato. Si va infatti dai 300 metri di altitudine di Talbignano ai 1053 del Monte di San Martino e le sue frazioni solitarie e disperse, passando per le colline di Cinghianello e i boschi di querce, frassini e castagni di Brandola, i centri più rilevanti di Gombola e del capoluogo o ancora la verde Palaveggio e la brulla Casa Matteazzi. Ovvio che i centri religiosi costituiti dalla pieve di Polinago prima e dalle parrocchie poi non fossero sempre raggiungibili dagli abitanti. Le chiesette sorte nelle diverse località avevano così la funzione di costituire i poli di aggregazione della manciata di persone e di case. Nel XVIII secolo gli oratori della sola parrocchia di Gombola, ad esempio, erano nove, per lo più di privati. È la versione rurale e diffusa delle cappelle costruite per prestigio e devozione nelle chiese dalle famiglie più importanti. Anche se di proprietà privata, questi edifici avevano però funzione pubblica. L’importanza storica e soprattutto affettiva di questi oratori ha fatto sì che molti - ma purtroppo non tutti - proprio dai privati siano stati salvati e mantenuti in vita.Gli oratori di Polinago riproducono in gran parte lo stesso modello architettonico. Una facciata a capanna è abbellita in alto da un’apertura, spesso costituita da un oculo in pietra simile a una macina da mulino. Gli spigoli sono in bugnato. La bella pietra grigia del Frignano è il materiale di costruzione, a volte è lasciata al vivo, altre in contrasto con l’intonaco bianco. Tre blocchi squadrati disegnano stipiti e architrave del portale. Ai lati si aprono due finestrelle. Nell’oratorio di Casa Carloni, costruito a fine ’800, anche queste hanno la caratteristica forma a oblò. Un particolare che contribuisce disegnare una delle facciate più belle dell’intero gruppo.
Quello della Madonna del Carmine è il più ampio degli oratori di Gombola. Fu costruito tra il 1731 e il 1747 dal parroco don Giovanni Battista Cenci destinandolo alla sepoltura dei sacerdoti gombolesi. Fu restaurato nel 1833 da don Paolo Casolari che vi aggiunse il coro semicircolare. All’interno è posta l’urna con il corpo del "santo di Gombola". Si tratta di Antonio Macchia, nato qui nel 1639 e morto nel 1694 in odore di santità. Sepolto nella parrocchiale, il corpo fu ritrovato nel 1830 incorrotto. Nel 1959 la salma fu trasferita qui, dove la gente continua a venerarlo. Molti altri oratori avevano dedicazione mariana. Tra questi ha un sapore quasi alpino l’oratorio della Beata Vergine della Rondine, nella parrocchia di Polinago. Isolato in mezzo ai prati, con l’erba per sagrato, fu costruito nel 1644 con il contributo di tutta la comunità come voto alla Madonna per lo scampato contagio dalla peste.
A volte invece gli oratori sono tutto ciò che resta di un centro abitato. Quello di Sant’Antonio da Padova, del 1794, è l’unica testimonianza del sito di Palaveggio, un tempo importante per la presenza di una torre di guardia che dominava tutta la valle del Rossenna, rovinata in una frana del 1926 e distrutta del tutto durante la Seconda guerra mondiale.Ancora nella parrocchia di Polinago si segnala l’oratorio di Sant’Anna. Per la forma cilindrica è conosciuto come "la rotonda". Fu costruito nel 1838 da don Lorenzo Casolari per ospitare le sepolture dei sacerdoti della famiglia, la stessa che costruì l’oratorio della Santa Croce. Non pare un caso che ai Casolari si debbano le due cappelle architettonicamente più complesse. Anche qui la forma scelta pare significativa: la pianta circolare, oltre che legata al mistero della Pasqua, era tipica dei mausolei di epoca antica, Ancora una volta un semplice oratorio di montagna riesce a parlare con sobrietà e densità dei grandi temi della morte e della resurrezione.