Un'immagine dal film "La vita nascosta" di Terrence Malick (2019)
Pubblichiamo qui uno stralcio della prefazione a firma del cardinale Matteo Maria Zuppi, al libro "Franz e Franziska. Non c’è amore più grande. I coniugi Jägerstätter e il martirio della coscienza" (Libreria Editrice Vaticana, pagine 144, euro 16,00, in libreria dal 28 agosto). Si tratta del catalogo dell’omonima mostra che si tiene al prossimo Meeting di Rimini. La mostra verrà poi esposta in diverse città italiane.
Oltre la convinta e incrollabile adesione di Franz Jägerstätter alla sua vocazione, non da meno è da riconoscere il “martirio bianco” di Franziska. Proprio nel legame d’amore di questi due sposi, antesignani di quella letizia che papa Francesco ci ha indicato come il frutto più bello dell’amore coniugale in Amoris laetitia, si può rintracciare una delle componenti generative della scelta di Franz. Come se il matrimonio e l’amore sponsale fossero diventati l’alveo in cui è maturata e la sorgente da cui è scaturita una vocazione martiriale che ha segnato la storia.
Questo legame tra amore coniugale e martirio era stato segnalato tempo fa anche da Claudio Magris, osservatore attento e ammirato della vicenda di Jägerstätter. Magris ebbe a scrivere, in un suo appassionato ritratto del beato Franz, queste considerazioni che faccio mie: «Il matrimonio con Franziska – un’unione autenticamente amorosa, forte e intensa – aveva approfondito la sua fede cattolica e maturato in lui una spiritualità che lo avrebbe portato a morire piuttosto che scendere a compromessi con il male». Questo legame tra unione sponsale e apertura al dono di sé spicca come una dimensione realmente preziosa dell’esperienza di vita di Franz e di Franziska. Oserei dire che anche Franziska è stata a sua volta martire, testimone di un amore più grande della paura e della conservazione di sé, che sorgeva dall’amore per il Vangelo che univa questi sposi e li rendeva vicini all’amore stesso di Gesù: «Non c’è amore più grande che dare la vita per i propri amici». Il seme della sua vita diventa, come sempre avviene nel caso del seme del Vangelo, un albero grande sul quale anche noi, piccoli e timidi, possiamo riposarci, invitati con dolcezza e fermezza a non inginocchiarci di fronte al nazismo e alle ideologie pagane ma restare dritti, dissociandoci da ogni azione di violenza e di morte per amore di Colui che ci insegna con la sua stessa vita a perderla per trovarla.
Nel suo viaggio a Auschwitz papa Benedetto XVI disse di tedeschi come Jägerstätter: «Essi erano visti come Abschaum der Nation – come il rifiuto della nazione. Ora però noi li riconosciamo con gratitudine come i testimoni della verità e del bene, che anche nel nostro popolo non era tramontato. Ringraziamo queste persone, perché non si sono sottomesse al potere del male e ora ci stanno davanti come luci in una notte buia. Con profondo rispetto e gratitudine ci inchiniamo davanti a tutti coloro che, come i tre giovani di fronte alla minaccia della fornace babilonese, hanno saputo rispondere: “Solo il nostro Dio può salvarci. Ma anche se non ci liberasse, sappi, o re, che noi non serviremo mai i tuoi dèi e non adoreremo la statua d’oro che tu hai eretto” (Dan 3,17s.)». In tanto caos e nelle pandemie della violenza e della guerra, come Franz e la dolcissima e fortissima Franziska, scegliamo sempre di obbedire all’amore e di non piegarci al male.
Colpisce la lucidità di Franz sul nazismo: «Io vorrei davvero gridare a tutti coloro che si trovano su questo treno: saltate giù prima che il treno arrivi al capolinea, anche se ciò dovesse costarvi la vita». Nella fede sua, e dei tanti come lui, è nata l’Europa. Giovanni Paolo II, ricordando la vicenda di Massimiliano Kolbe, che offrì la propria vita al posto di un altro prigioniero, commentava: «Morì un uomo, ma l’umanità si salvò». Franz Jägerstätter ha salvato l’umanità, proteggendola dall’inopia del male.
Scrive alla moglie dal carcere di Berlino: «Che cosa c’è di più bello della pace?». Nei suoi ultimi scritti dichiara: «Scriverò solo qualche parola, così come essa mi esce dal cuore. Scrivo con le mani legate, ma è meglio così che se fosse incatenata la volontà… Né il carcere né le catene e neppure la morte possono separare un uomo dall’amore di Dio e rubargli la sua libera volontà. La potenza di Dio è invincibile… C’è sempre chi tenta di opprimerti la coscienza ricordandoti la sposa e i figli... Si può allora anche mentire perché abbiamo moglie e figli e per di più giustificarsi attraverso un giuramento? Cristo stesso non ha forse detto: “Chi ama la moglie, la madre i figli più di me non è degno di me”? Per quale motivo preghiamo Dio e i sette doni dello Spirito Santo, se dobbiamo comunque prestare in ogni caso cieca obbedienza? A che pro Dio ha fornito agli uomini un intelletto e una libera volontà se non ci è neppure concesso, come alcuni dicono, di giudicare se questa guerra che la Germania sta conducendo sia giusta o ingiusta? A cosa serve allora saper distinguere tra bene e male? Se un nostro buon amico ci proponesse un lungo viaggio di piacere, naturalmente gratis e con trattamento di prima classe, cercheremmo di rimandarlo continuamente o addirittura lo terremmo in serbo per la vecchiaia? Non credo proprio. E cos’è dunque la morte: non si tratta anche in questo caso di un lungo viaggio che dovremo fare, anche se da questo non ritorneremo? Ma può esservi un momento più gioioso di quello nel quale ci accorgeremo di essere felicemente approdati sulle rive del paradiso?». Sia così.