mercoledì 21 giugno 2023
Manca un anno al Congresso mondiale di filosofia di Roma. I temi in questione, dalla società al digitale, dalla nascita alla morte, riguardano tutti. Un evento ricco di opportunità, non solo culturali
Roma sarà la sede del prossimo Congresso mondiale di filosofia, in programma ad agosto 2024

Roma sarà la sede del prossimo Congresso mondiale di filosofia, in programma ad agosto 2024 - Unsplash

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Diecimila chilometri separano Roma da Tokyo. Eppure, proprio dalla capitale giapponese passa il destino di uno dei maggiori incontri di cultura dell’Italia moderna. Qui, nei giorni scorsi, il Consiglio della Federazione internazionale delle società filosofiche ha messo a punto le indicazioni finali del Congresso mondiale di filosofia che si aprirà tra poco più di un anno nel grandioso scenario delle Terme di Caracalla. E così, cinque anni dopo il congresso di Pechino, è ancora nel confronto con studiosi asiatici, oltre che di altre regioni del mondo, che si disegnano le coordinate del più grande raduno filosofico della storia d’Italia.

Materiale su cui riflettere non ne manca. Anche, e forse soprattutto, per la cultura del nostro Paese. Pensiamo alla vena politica che innerva il pensiero italiano, da Machiavelli a Gramsci. A come possa trarre ispirazione da tradizioni non occidentali per meglio comprendere i motivi della crisi dell’ordine democratico, in un mondo sempre meno a misura di nazione. Osserviamo senza pregiudizi l’evoluzione della cultura, sempre più integrata nei nuovi media, impregnata di un’estetica del glamour e penetrata dai linguaggi pubblicitari. Interessiamoci alle diverse modalità di affrontare il dolore, la nascita, la morte, nelle diverse civiltà del mondo. E affrontiamo in tutta la sua complessità la rivoluzione digitale, che ha già cambiato, prima ancora dei nostri riferimenti colti, le nostre abitudini e forme di vita quotidiana.

Basti pensare al modo in cui i nostri figli imparano a orientarsi nel mondo grazie allo smartphone che tengono sempre in mano. Forse non è il caso di preoccuparsi troppo. O forse sì. Forse stiamo già entrando, senza accorgercene, in un’era di “comunità emo-tive”, in cui ci si prepara un destino neomedievale di subalternità civile, sudditanza politica e asservimento economico. Le società occidentali se ne sono a lungo considerate immuni, ora qualcosa sta cambiando. Così, fermarsi a riflettere insieme, per interrogarsi sul destino sociale, economico, politico, tecnologico e culturale del mondo contemporaneo ci appare oggi più che mai necessario.

Certo il Congresso è anche altro. È una straordinaria opportunità per l’editoria italiana, chiamata a svolgere un ruolo di primo piano nel nuovo Salone internazionale del libro filosofico. È un’occasione di crescita per giovani studiose e studiosi di ogni parte d’Italia. Ed è un formidabile moltiplicatore di collegamenti internazionali, le cui conseguenze si faranno sentire a lungo. Perché alla fine è di questo che si tratta: studiose e studiosi di ogni parte del mondo che a migliaia verranno a Roma non per parlare di filosofia, ma per confrontarsi pubblicamente sulle trasformazioni in atto nelle società di oggi e sui modelli a cui vorremmo che si ispirassero. Anche sui conflitti, certo: economici, politici o militari.

Da Tokyo usciamo consapevoli dell’impegno che abbiamo preso con i colleghi del mondo intero. Per molti di loro, venire a Roma sarà anche un modo per tenere vivi i fili di un dialogo intellettuale oggi a rischio. Ma ne usciamo anche con la percezione, anzi con il sentimento vivissimo di una responsabilità storica nei confronti della società italiana. Per il suo rilievo pubblico, e non solo accademico, il congresso di Roma consentirà forse di restituire alla comunità nazionale una disciplina, la filosofia, che è tempo di reintegrare nel corpo vivo della cultura e dell’economia italiana.

Ma esso sarà soprattutto un momento di riflessione condivisa per l’intera sfera pubblica italiana, un esercizio di ascolto reciproco di cui tanto la filosofia quanto la società italiana hanno bisogno: sia per dar vita a durevoli strategie di sviluppo culturale, educativo, sociale per il Paese che per superare lacerazioni e controversie ideologiche frutto di società sempre più polarizzate.

Si dirà che non è il caso di esagerare. Che si rischia di apparire visionari. Sarà. Ma è questa l’idea di fondo che ispira l’appuntamento romano del 2024 ed è questo il momento di fare appello a tutte le forze della cultura, delle imprese, dell’economia, dei media, della scienza, dell’informazione, delle istituzioni, a tutti coloro che operano nello spazio pubblico perché si impegnino in questa riflessione comune, portandovi le proprie esperienze, le proprie preoccupazioni, le proprie esigenze. Sostenibilità, intelligenza artificiale, diversità e parità di genere, giustizia sociale e democrazia, biodiversità, moda, propaganda e discorso pubblico: nessuna di queste dimensioni della vita sociale può essere compresa a partire da un solo punto di vista e nessuna di esse ha davvero senso se non nel quadro più generale del difficile riassetto, anche culturale, dell’ordine internazionale. Affrontarle insieme a una pluralità di figure che operano nello spazio pubblico, italiano e non, è il compito che si è dato il Congresso di Roma e che a Tokyo è stato riaffermato con forza; e, con esso, il richiamo alla dimensione globale, alla pluralità di culture, religioni, filosofie che verrà rappresentata durante l’intera settimana che durerà il Congresso.

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