Il cardinale Gualtiero Bassetti - Ansa
Anticipiamo la prefazione del cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, al volume 23 cardinali commentano il Catechismo della Chiesa cattolica (Tau; pagine 480; euro 25). Curato da Marco Italiano, contiene i contributi di Ennio Antonelli, Angelo Bagnasco, Ricardo Blázquez Perez, Domenico Calcagno, Angelo Comastri, Paul Josef Cordes, Angelo De Donatis, Salvatore De Giorgi, Kevin Joseph Farrell, Zenon Grocholewski, Edoardo Menichelli, Francesco Monterisi, Gerhard Ludwig Müller, Carlos Osoro Sierra, Mauro Piacenza, Béchara Boutros Raï, Giovanni Battista Re, Franc Rodé, Leonardo Sandri, Robert Sarah, Angelo Scola, Jean-Louis Tauran, Peter Kodwo Appiah Turkson.
Cosa significa essere cristiani? E come agiscono, e in cosa credono i discepoli di Gesù Cristo? C’è qualcosa che li distingue dagli altri, e li caratterizza? Queste domande non sono nuove. Anzi, proprio uno scritto del secondo o terzo secolo, la Lettera a Diogneto, tenta di rispondervi, affermando che «i cristiani non si differenziano dagli altri uomini né per territorio, né per il modo di parlare, né per la foggia dei loro vestiti. Infatti non abitano in città particolari, non usano qualche strano linguaggio, e non adottano uno speciale modo di vivere».
L’anonimo autore di questo splendido testo rifiuta ogni ingenua definizione dell’essere cristiano; però, poco dopo, prosegue: «La dottrina che essi seguono non l’hanno inventata loro in seguito a riflessione e ricerca di uomini che amavano le novità, né essi si appoggiano, come certuni, su un sistema filosofico umano» (Cap. 5; Funk 1, 317). Vi è dunque una “dottrina”, un insieme di credenze e certezze, alle quali anche i cristiani si attengono, e dalle quali traggono ispirazione non solo per il loro modo di pensare, ma soprattutto per quello di vivere.
Le domande che abbiamo posto poco sopra, però, oggi sono, se possibile, ancora più attuali. Siamo ormai tutti figli, infatti, di un’epoca “postmoderna”, dentro quella che altri hanno definito una società “liquida”, nella quale rischiamo di vivere un cristianesimo altrettanto evanescente. Si tratta della tentazione di quel “cristianesimo liquido” di cui ha parlato Papa Francesco: un modo di essere cristiani caratterizzato, paradossalmente, dall’essere «un cristianesimo senza Gesù, un cristianesimo senza Cristo » (Francesco, Meditazione mattutina nella cappella della Domus Sanctae Marthae, 27 giugno 2013).
L’iniziativa editoriale per la quale ho l’onore di scrivere questa prefazione è pertanto quanto mai opportuna, non solo perché il presente volume vede i diversi articoli scritti da confratelli cardinali, ma anche perché a essere approfonditi dalle loro penne sono i fondamenti della nostra fede cristiana. Se non si tratta di una “riscrittura” dell’intero Catechismo della Chiesa Cattolica, rimane il fatto che la nostra fede ha bisogno di essere continuamente ridetta: salva- guardandone il contenuto essenziale, devono essere trovate nuove espressioni che siano in grado di intercettare lo stesso linguaggio degli uomini e delle donne di oggi.
Questo processo di riscrittura della fede deve interpellare – vorrei insistere – questa generazione, perché è così sin dall’inizio. Ci torna alla mente, a riguardo, quanto è accaduto per quel contenuto di fede che è il fondamento dell’ebraismo e anche del cristianesimo, cioè la Torah, l’insieme dell’insegnamento che viene dai cinque libri del Pentateuco.
Nel libro del Deuteronomio, al capitolo 27, oramai alla fine del lungo discorso che Mosè tiene ai figli di Israele, in prossimità dell’ingresso nella Terra della promessa, si trova il suo pressante invito a riscrivere la Legge (Dt 27,1-7). La scena è ambientata sul monte Ebal, uno dei monti di Samaria, che costituisce la parete nord del passo di Sichem, e che si trova di fronte al Garizim: «Mosè e gli anziani d’Israele diedero quest’ordine al popolo: “Osservate tutti i comandi che oggi vi do. Quando avrete attraversato il Giordano per entrare nella terra che il Signore, vostro Dio, sta per darvi, erigerai grandi pietre e le intonacherai di calce. Scriverai su di esse tutte le parole di questa legge, quando avrai attraversato il Giordano per entrare nella terra che il Signore, tuo Dio, sta per darti, terra dove scorrono latte e miele, come il Signore, Dio dei tuoi padri, ti ha detto”» (Dt 27,1-3). Giosuè metterà davvero in atto quanto richiesto da Mosè (cf. Gs 8,32-35), e secondo le tradizioni presenti nel Talmud, avrebbe addirittura riscritto la Torah in settanta lingue diverse, le lingue di tutti le genti del mondo.
La cosa più importante di questo racconto è che Mosè chiede al suo popolo – nel momento cruciale dell’ingresso nella Terra – di scrivere di nuovo la Torah, quella Legge che Mosè aveva ricevuto al Sinai, e a sua volta aveva riscritta dopo che le prime tavole, a causa del peccato del vitello d’oro, erano state riformulate. In fondo, si vuol dire che della Parola di Dio non si deve perdere mai la memoria, pena l’impossibilità, poi, di metterla in pratica. Mentre le nazioni pagane erigono i monumenti e i memoriali delle loro conquiste, delle vittorie e dei loro eroi, Israele deve erigere i monumenti alla Torah, riscriverla e rispettarla.
Ora, se nella presente pubblicazione non si trova una riscrittura dei libri del Pentateuco, le voci del Catechismo universale che vengono qui commentate dagli eminentissimi cardinali richiamano lo stesso processo. Dopo ormai diversi decenni dal 25 gennaio 1985, data di inizio di quel percorso che – con la convocazione da parte di san Giovanni Paolo II di un’Assemblea straordinaria del Sinodo dei Vescovi dalla quale emerse la richiesta di scrivere un Catechismo – porterà poi al testo che conosciamo, è più che opportuno riaprire quel libro, e rileggerlo a partire dai preziosi contributi qui pubblicati.
L’augurio è che da queste pagine nasca il desiderio di conoscere sempre meglio l’insieme dei contenuti della nostra fede espressi nel Catechismo, quei contenuti che permettono ai cristiani – se osserveranno quei principi e li metteranno in pratica – di essere ciò che l’autore della Lettera a Diogneto dice dei discepoli di Gesù: «Per parlar chiaro, i cristiani rappresentano nel mondo ciò che l’anima è nel corpo».