Era il patriarca della critica letteraria di ispirazione marxista. Una lettura della vita, della storia, delle patrie lettere e della politica che non ha mai abbandonato. Alberto Asor Rosa, uno dei principali intellettuali del nostro Paese e deputato del Pci dal 1979 al 1980 , è morto ieri nella Capitale all’età di 89 anni. Della sua lunghissima attività accademica – dal 1972 al 2003 ha insegnato Letteratura italiana all’Università “La Sapienza” di Roma dove ha diretto il Dipartimento di Studi filologici, linguistici e letterari – e di saggista si ricordano non solo le innumerevoli opere di critica, a partire da Scrittori e popolo del 1965, con il culmine nella Storia delle letteratura italiana Einaudi in 16 volumi da lui diretta dal 1982 al 2000, ma anche le altrettanto innumerevoli polemiche letterarie, politiche, accademiche e giornalistiche. Laureatosi con Natalino Sapegno, discutendo una tesi su Vasco Pratolini, già nel suo “saggio sulla letteratura populista in Italia”, attento ai fenomeni sociali e ispirato a Gramsci, suscitò un vasto dibattito, avendo bocciato senza mezzi termini il Pier Paolo Pasolini dei Ragazzi di vita.
Tanti gli autori su cui Asor Rosa ha scritto: dall’amato Ariosto ad Alessandro Manzoni e Italo Calvino. E le epoche: dalla barocca alla contemporanea. Passando per autori anche letterari, ma non solo, come Galilei e Machiavelli. E gli stranieri come Thomas Mann e Joseph Conrad, al quale ha dedicato il suo ultimo saggio L’eroe virile (2021). Testimonianza dell’attenzione al quadro internazionale che lo portò a curare i tre volumi della Storia europea della letteratura italiana (Einaudi, 2009). Tra le sue opere più recenti: Letteratura italiana. La storia, i classici, l’identità nazionale (2014) e Scrittori e popolo 1965. Scrittori e massa 2015 (2015), in cui cerca di dare ordine alla produzione letteraria degli scrittori nati dopo il 1960. Nel 2002 il critico si è cimentato anche per la prima volta come scrittore con L’alba di un mondo nuovo, autobiografico e ambientato nell’Italia della Seconda guerra mondiale, seguito nel 2005 da Storie di animali e altri viventi e nel 2010 da Assunta e Alessandro tutti per il suo editore di riferimento, Einaudi. Mentre per Laterza nel 2009 è uscito il libro- intervista con Simonetta Fiori sul ruolo degli intellettuali, Il grande silenzio. Sulla sua produzione, infine, è uscito due anni fa un Meridiano Mondadori di Scritture critiche e d’invenzione. Asor Rosa è stato senza dubbio uno dei protagonisti del dibattito pubblico, culturale e civile italiano. Anche nel campo della pubblicistica il critico nato a Roma nel 1933 è stato molto attivo, come direttore di Contropiano (1968-1971), Laboratorio politico (1981-83) e della rivista del Pci Rinascita (1990-91), nonché come collaboratore dei Quaderni rossi, la rivista della sinistra operaista ispirata dal filosofo Mario Tronti, che poi ne uscì per fondare, con lo stesso Asor Rosa e Massimo Cacciari, il periodico Classe operaia.
Erano gli anni tra i Cinquanta e i Sessanta, che lo videro nel gruppo di intellettuali che prese le distanze dal partito comunista dopo i fatti d’Ungheria. Partito in cui rientrò nei primi anni Settanta, ma con il quale mantenne un rapporto sempre burrascoso. Un percorso raccontato lo scorso anno in un articolo biografico pubblicato sulla rivista Micromega: «A schierarsi risolutamente contro l’invasione sovietica furono Muscetta, Sapegno, il gruppo giovanile di cui ho già detto (Tronti, De Caro, Coldagelli, io stesso…) e anche Lucio Colletti, che allora non spinse però il piede sull’acceleratore. Dall’altra parte c’era, in primissimo piano, Carlo Salinari ». Non fu l’unica scissione di cui Asor Rosa fu protagonista. Dopo quella tutta politica, di cui si è detto, ce ne fu una concreta nell’Ateneo dove ha trascorso, si può dire, l’intera esistenza. Tra la fine del 1995 e l’inizio del 1996, infatti, Asor Rosa lasciò il dipartimento di Italianistica, da lui diretto, in polemica con il collega Giulio Ferroni, anche lui di sinistra, che lo accusò di aver gestito il dipartimento come una « proprietà personale». Questione che ebbe lunghi strascichi in tribunale, con ben due processi. Se lo scomparso critico non aveva solo amici nel campo progressista, figurarsi in quello conservatore. Nel 2011 poco prima che al governo Berlusconi IV subentrasse quello di Mario Monti, Asor Rosa suscitò un vespaio per un articolo su il manifesto, dal titolo “ Non c’è più tempo” in cui teorizzava «una prova di forza che con l’autorevolezza e le ragioni inconfutabili che promanano dalla difesa dei capisaldi irrinunciabili del sistema repubblicano » instaurasse «quello che definirei un normale “stato d’emergenza” » . Parole che al centrodestra suonarono come l’auspicio di un golpe. Anche con Indro Montanelli la polemica fu aspra. Al giornalista toscano si deve la ripresa caustica di una frase goliardica sul cognome del critico, apparsa nel 1977 su un muro della Sapienza: « Asor Rosa è un palindromo ». Con l’aggiunta: « Lo si può leggere da sinistra o da destra, e vuol dire la stessa cosa, cioè niente». Era solo l’inizio di una querelle che anche in questo caso finì in tribunale. Nel 1995, infatti, in un articolo del quotidiano “La Voce” si riferivano presunte accuse dell’ex capo del Sisde Riccardo Malpica nei confronti del professore, sostenendo che era stato sospettato di essere uno degli intellettuali marxisti ispiratori dei comunicati delle Brigate Rosse. Nel 1998 la vicenda giudiziaria si concluse con il ritiro della querela da parte di Asor Rosa, che aveva ricevuto da Montanelli una lettera di scuse in cui riconosceva che quell’articolo era basato su «affermazioni risultate completamente infondate». Ateo dichiarato, come Eugenio Scalfari, e non a caso dalle colonne di Repubblica, Asor Rosa ha salutato nel 2016 con favore un intervento di papa Francesco, pubblicato su La Civiltà cattolica, nel nome della coesistenza tra “conflitto” e “misericordia”. « Il prodotto di una cultura laica può stare insieme con il prodotto tipico di una cultura evangelicocristiana », aveva chiosato ricordando le ascendenze hegeliane e marxiste fino a Dahrendorf del primo termine. Asor Rosa, infine, eramolto legato alla Toscana. Oltre a essere cittadino onorario di Capalbio, si era battuto contro quello che aveva definito «l’ecomostro di Monticchiello» e per la nascita del parco naturale, artistico e culturale della Val d’Orcia, ha ricordato ieri (tra i tanti interventi del mondo politico) il sindaco di Pienza, Manolo Gerosi. La camera ardente sarà aperta oggi alla Sapienza dalla 9,30 alle 12 presso l’Aula magna del rettorato, dove alle 12,30 si terrà l’ultimo saluto al professore.