giovedì 21 novembre 2024
Prima la rivoluzione tecnologica era condotta dalla controcultura della "Bit generation" californiana, poi dalla Seattle di Gates. E ora? Lo spiega Paolo Benanti in "Il crollo di Babele"
Paolo Benanti

Paolo Benanti - Imogoeconomica

COMMENTA E CONDIVIDI

Che fare dopo la fine del sogno di internet? È l’interrogativo, che fa da sottotitolo e punto di partenza al nuovo saggio di fra Paolo Benanti, Il crollo di Babele (San Paolo, pagine 318, euro 22,00) in libreria da giovedì 21 novembre, dal quale anticipiamo un brano delle conclusioni. Tra Elon Musk, psicopolitica e potere digitale, l’autore - teologo francescano, tra i massimi esperti di etica delle tecnologie e presidente della Commissione AI per l’informazione - descrive il crollo del sogno di internet e l’avvento di una nuova epoca guidata dall’Intelligenza artificiale. Sulla scorta del racconto biblico di Babele Benanti ricostruisce come nel primo decennio del nuovo millennio la società abbia costruito con internet e gli smartphone una torre globale, culminata con le Primavere arabe del 2011, dove si è convinta che i mezzi digitali potessero unire e liberare popoli e democrazie. Nella seconda decade, con l’avvento delle grandi piattaforme e con la loro radicale necessità di monetizzare i dati degli utenti, il mondo ha assistito al crollo della torre: inquietudini, fake news, esaltazione dell’io e delle contrapposizioni che sfidano oggi il dibattito democratico e il mantenimento della pace culminate con le rivolte di Capitol Hill nel 2021. La domanda cruciale si ripropone alla fine: cosa attende l’uomo dopo il crollo di Babele?

Se il primo decennio del secolo si è concluso con le cosiddette Primavere arabe, il secondo ha avuto come evento simbolo le cosiddette rivolte di Capitol Hill: il 6 gennaio 2021 si è verificato uno degli eventi più drammatici e controversi della recente storia politica degli Stati Uniti. [...] La sequenza degli eventi mostra una totale compenetrazione del mondo fisico-analogico e di quello digitale con conseguenze del primo sul secondo ma, soprattutto, rivela al mondo che il digitale, lungi dall’essere un puro contesto virtuale e senza conseguenze è una forza che è riuscita a plasmare gli eventi che hanno fatto la storia: cinque persone sono morte durante l’assalto, inclusi un agente di polizia e quattro rivoltosi, mentre più di centoquaranta agenti sono stati feriti e l’assalto ha causato danni stimati in oltre un milione e mezzo di dollari a Capitol Hill. Nei mesi seguenti, il Dipartimento di Giustizia ha incriminato oltre mille e duecento persone per crimini legati all’assalto, con centinaia di dichiarazioni di colpevolezza e condanne. Trump è stato accusato di incitamento all’insurrezione dalla Camera dei rappresentanti, ma è stato successivamente assolto dal Senato. In una apposita Commissione della Camera per l’Indagine sull’Assalto del 6 gennaio le indagini e le audizioni hanno concluso che Trump sia stato il principale responsabile dell’attacco, raccomandando accuse penali contro di lui. Il pubblico americano ha reagito in modo fortemente polarizzato e i dibattiti online sono proseguiti per mesi.

Questo evento è visto come il simbolo di questo secondo decennio del secolo perché le piattaforme digitali hanno avuto un ruolo cruciale negli eventi. I social network come Facebook, Twitter e YouTube sono stati utilizzati per diffondere disinformazione riguardo alle elezioni presidenziali: questa disinformazione ha alimentato le teorie del complotto che hanno portato all’assalto del Campidoglio. Donald Trump ha utilizzato massicciamente i social media per comunicare direttamente con i suoi sostenitori, aggirando l’intermediazione dei media tradizionali: questa strategia ha permesso a Trump di consolidare una base di sostenitori fedeli e di diffondere rapidamente il suo messaggio, inclusi appelli a contestare i risultati elettorali. Infine, le piattaforme social sono state utilizzate per organizzare e coordinare l’assalto. Su siti come “Gab” e “Parler”, i sostenitori di Trump hanno condiviso istruzioni su come eludere le forze dell’ordine e su quali strumenti utilizzare per forzare le porte del Campidoglio. Inoltre, i post in tempo reale sui social media hanno documentato e incitato ulteriormente la violenza durante l’assalto. Se gli eventi di Piazza Tahir e le cosiddette Primavere arabe hanno fatto percepire le piattaforme sociali globali come strumenti di libertà e democrazia, gli eventi del 6 gennaio hanno gettato una definitiva ombra sinistra sul ruolo e l’operato delle stesse, anche se dopo l’assalto le principali piattaforme social hanno adottato misure per contenere la disinformazione e l’incitamento alla violenza.

Il blocco degli account di Trump su diverse piattaforme ha sollevato dibattiti sulla libertà di espressione e sulla responsabilità delle piattaforme digitali: la sospensione di Trump è stata vista come una misura necessaria per prevenire ulteriori violenze, ma ha anche sollevato interrogativi etici e giuridici sulla censura e sulla regolamentazione dei contenuti online. L’assalto al Campidoglio ha dimostrato il potere delle piattaforme digitali nel mobilitare le masse e nel trasformare la disinformazione online in azioni reali e violente. Questo evento ha evidenziato la necessità di una regolamentazione più rigorosa e di una maggiore responsabilità da parte delle piattaforme digitali, anche se al momento non si registrano tentativi di successo in questa direzione e si alza forte il dubbio su come rendere questo potere computazionale compatibile e addomesticabile con le istituzioni democratiche. (...)

Le sfide che ci attendono

Durante la Seconda guerra mondiale furono sviluppati i primi computer per scopi bellici (...) Nell’immediato dopoguerra, a partire dagli anni Cinquanta, l’introduzione dei transistor al silicio permise la creazione di computer più piccoli, più veloci e più affidabili, mentre i circuiti integrati, apparsi negli anni Sessanta, ridussero ulteriormente le dimensioni e i costi, aumentando la funzionalità dei computer. Si aprì così una stagione in cui la potenza di calcolo si diffuse in tutta la società. In quegli anni, la distribuzione della potenza di calcolo avviene confinandola nei mainframe. Questo termine si riferiva originariamente ai grandi armadi, chiamati mainframe, che contenevano i processori e le memorie dei primi computer. Solo nel decennio successivo, negli anni Settanta, con l’avvento dei microprocessori, questa potenza di calcolo è stata democratizzata e diffusa tra le persone.(...) Tuttavia, è l’emergere di una nuova corrente culturale che possiamo definire, se ci è permesso il gioco di parole, Bit generation, che ha prodotto il profondo meccanismo di decentramento dei decenni successivi. La rivoluzione tecnologica è stata alimentata dal seme della controcultura californiana degli anni Sessanta. Il centro di questo modo di vedere i computer e l’informatica era ed è la Silicon Valley, l’area tra San Francisco e San José. Sono stati soprattutto l’ideale comunitario dei figli dei fiori, la loro natura libertaria, il desiderio di ampliare gli orizzonti e il disprezzo per l’autorità centralizzata a fungere da spina dor- sale per le basi filosofiche ed etiche di Internet e dell’intera rivoluzione dei personal computer.

La Rete si è avviata verso il crepuscolo di quell’esperienza. Accanto al filone californiano, c’è un’altra corrente, più fredda e importante, che ha la sua identità in una forma diversa di disadattamento e disagio, quella dei nerd. Il suo centro si trova a Seattle, dove ha sede la Microsoft, fondata da Bill Gates. La declinazione che ha mosso Gates e gli appartenenti a questo filone è incentrata non tanto sulla controcultura quanto sulla convinzione della centralità della tecnologia. Non solo per il futuro delle nostre società e per il benessere delle persone, ma anche per la sua capacità di essere veicolo diretto di affermazio- ne personale e di potere. La conclusione di questo processo di democratizzazione è avvenuta verso la fine del primo decennio di questo secolo con l’avvento dello smartphone. Nel momento in cui il potere computazionale personale ha iniziato ad abitare le nostre tasche, ha iniziato anche a privarci di una certa autonomia: lo smartphone ha bisogno di un substrato invisibile e fondamentale, la rete, che ne garantisce il funzionamento e che alimenta il potere computazionale tascabile di cui disponiamo. (...) Oggi le nostre esistenze democratiche sono esistenze computazionali. La democrazia che oggi è divenuta computazionale sfrutta anche il potenziale delle tecnologie informatiche per rendere più efficace e inclusiva la partecipazione dei cittadini ai processi decisionali pubblici. (...)

L’avvento dell’intelligenza artificiale sta nuovamente cambiando l’orizzonte. I servizi di intelligenza artificiale sfumano la linea di demarcazione tra il potere computazionale personale e il potere centralizzato nel cloud: nell’uso dei nostri telefoni, difficilmente sappiamo cosa viene eseguito localmente e cosa nel cloud. Tuttavia, questa nuova forma di centralizzazione nel cloud porta con sé anche una centralizzazione del potere computazionale personale associata alla democrazia. La questione da affrontare sarà quindi come rendere democratico il potere centralizzato del cloud e dell’IA, evitando che la democrazia computazionale collassi in un’oligarchia del cloud..[...] I maestri del sospetto hanno avuto un’influenza significativa sul pensiero postmoderno, contribuendo a far scricchiolare le fondamenta della modernità e aprendo la strada a nuove forme di critica e interpretazione. I maestri del sospetto hanno fornito strumenti critici fondamentali, che hanno permesso ai pensatori postmoderni di sfidare le strutture consolidate della modernità, promuovendo una visione del mondo caratterizzata da pluralismo, relativismo e una continua messa in discussione delle verità assolute.

Dopo questi ruggenti anni Venti del nostro secolo probabilmente lo scenario è ulteriormente mutato. Dal sospetto siamo passati al dubbio: non un dubbio filosofico o scientifico esistenziale, perché questa mutazione non è frutto del pensiero razionale e filosofico, ma della tecnologia degli algoritmi, con la quale, in questi anni, abbiamo intessuto la società. Il dubbio esistenziale ha come presupposto il sospetto che decostruisce le certezze e a questo aggiunge una sottrazione di ogni possibile base alla nostra soggettività: siamo in una contemporaneità che si definisce, a seconda dei commentatori, come epoca della post-verità, delle fake news, delle echo chambers, dei complottismi o dei populismi. Che tipo di successione sapremo dare alla modernità dipenderà in primo luogo dal nostro saper pensare questi accadimenti e dal nostro saper decidere come realizzare e difendere una democrazia computazionale proteggendola dallo strapotere delle piattaforme. Come vivremo e cosa faremo in questi anni Trenta del secolo sarà ciò che lasceremo in eredità alle generazioni future dopo il crollo della Babele digitale.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI