sabato 15 ottobre 2016
Bob Dylan, il Nobel che divide Perché no / Un riconoscimento che sa di furbata
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Il Nobel per la Letteratura è in crisi. Lo si capisce dall’incrocio tra i due Nobel extra-scrittori, quello italiano,  Dario Fo, che è morto, e quello americano,  Bob Dylan, appena scelto. Il fatto che siano extraletteratura  significa che dentro la letteratura i giudici del Nobel non trovavano un nome unico, riconosciuto e accettabile da tutti.  La crisi del Nobel era prevedibile, perché il Nobel si attribuisce un compito assurdo: indicare un narratore o un poeta come il più meritevole del mondo. Il migliore. Questo progetto è impossibile. Non si può scegliere il migliore tra i narratori e i poeti del mondo, semplicemente perché sono imparagonabili tra loro. Ognuno è unico e inconfondibile. Può darsi che nel campo delle Scienze, della Medicina, della Pace, sia possibile vedere chi ha fatto di più, chi è più importante, chi influirà di più sul futuro, e insomma chi merita di essere premiato.Ma nel campo della Narrativa e della Poesia un simile confronto, tra americani, cinesi, russi, indiani, eccetera, è stolto. Come diceva Borges, ogni volta che il premio Nobel veniva assegnato e non a lui: «I libri di chi non vince il Nobel non perdono nulla». Vero. Se erano tanto restano tanto, se erano poco restano poco.  Non è che, perché vince il Nobel,   Quasimodo diventa più importante di Ungaretti. O  Churchill un narratore di rilevanza mondiale. I libri di chi vince il Nobel vendono di più, certo. L’unica conseguenza, sul piano del risultato, di una vittoria del premio Nobel, è dunque economica, cioè borghese. Non è artistica. Non è estetica. È però importante per le condizioni economiche dell’autore, se è uno scrittore e soprattutto se è un poeta: gli può cambiare la vita, il tenore della vita, il lavoro, le giornate. Ma se è un cantante, e specialmente un cantante che vende decine di milioni di dischi, non gli cambia nulla. Il premio Nobel è, quest’anno, è di 8 milioni di corone svedesi, pari a circa 830mila euro. Per un poeta, un miraggio. Per una star della canzone, una briciola. Anche per questo i poeti protestano per l’assegnazione a Bob Dylan: la sentono come il furto di un bene in casa loro. Cosa fa un premio, premiando? Premia un autore. Ma non solo, e qui uso la formula che mi sono costruito, lavorando in tante giurie letterarie: “Ogni premio, premiando, premia se stesso”. Cerca, cioè, un ritorno di benefìci su se stesso. Vuole uscirne più forte, più noto, più commentato, più sorprendente, più appetibile. Il Nobel per la letteratura che hanno dato a Dario Fo era migliore se lo avessero dato a Mario Luzi? Non c’è dubbio, sarebbe stato migliore. Mario Luzi era un grandissimo poeta, ma tutto interno alla Letteratura. Il ritorno che ne avrebbe avuto l’organizzazione del Nobel sarebbe stato modesto. Il premio a Dario Fo fu da molti considerato uno scandalo, e tale viene considerato da alcuni anche adesso. Ma il ritorno pubblicitario che il premio ne ebbe fu enorme, e resta ancora enorme. Non fu un premio alla Letteratura, e nemmeno al teatro, inteso come genere: fu un premio a un attore, che faceva teatro con il corpo, le mani, la pancia, la voce, la bocca, gli occhi. Un mimo. Che faceva un teatro personale, legato alla sua fisicità, intrasmissibile. Un teatro esaltante e distruttivo, di forte potenza sul piano sociale e politico, un teatro che vinceva non con la ragione ma con la violenza. Un premio Nobel per il teatro gli sarebbe andato a pennello. Per la Letteratura, non c’entra niente. Un premio Nobel per la canzone a Bob Dylan sarebbe ben assegnato, per la Letteratura è un premio sghembo e di ripiego. Dicono: ma la sua canzone è poesia. Tutta l’arte è poesia, anche un film, anche una cattedrale. Ma dare il Nobel per la Letteratura a un regista non significa onorare il cinema, ma disprezzare gli scrittori. Tuttavia ragioniamo: se avessero dato il Nobel a uno scrittore saremmo ancora qui a parlarne dopo due giorni? L’hanno dato a un cantante, e non smetteremo mai. È una furbata, e funziona.
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