Un amore, anche sportivo, può a volte cominciare con un rifiuto. Così è iniziato quello tra la lotta e Frank Chamizo, campione del mondo nello stile libero ai Mondiali di Las Vegas del settembre 2015 e unico qualificato ai Giochi di Rio nella specialità, dove debutterà nella categoria 65 kg. Il «no», è quello che mamma Clara oppone al piccolo Frank, quando a sette anni gli chiede se può fare quello sport, scoperto entrando in una palestra di Matanzas, la città a 90 chilometri dall’Avana dove è nato. «Sono entrato e li ho visti lottare», racconta quasi vent’anni dopo Frank con il suo accento di cubano trapiantato a Genova ma che sembra siciliano («Colpa dei miei amici», sorride): «Era troppo bello. Volevo farlo anche io». Però mamma dice no, non vuole firmare l’autorizzazione per far combattere suo figlio. E la paura che si possa fare male non è la ragione. «La lotta – spiega Frank – era la disciplina che praticava mio papà Pavel che ha abbandonato la mia famiglia per andare negli Stati Uniti quando ero molto piccolo». Quell’incontro però è solo rimandato, perché la necessità di mantenere i due figli porta la signora Clara a emigrare, in direzione Spagna. Frank vive per alcuni mesi l’anno con la nonna materna e finalmente riesce a mettersi sulla materassina. Con un trucco. «Ho preso “in prestito” i documenti della mamma – ricorda adesso – e mi sono iscritto in palestra. E una volta parlando con il mio allenatore – aggiunge – lui ha scoperto chi era mio padre. Così pure io ho saputo che era un lottatore». Il ragazzo ha fisico e talento e a undici anni viene inserito in una Escuela de Iniciación Deportiva Escolar, un istituto in cui a Cuba vengono raccolti i migliori talenti sportivi dell’isola. «Lì si studiava e potevi provare a praticare molti sport – spiega il ventitreenne – ma io avevo un unico pensiero: la lotta». Già nelle categorie giovanili si piazza spesso tra i migliori. Quattro titoli giovanili e a quindici anni i primi approcci con la Nazionale, con cui disputa tornei come il Mondiale giovanile dove esce ai primi turni. Nel 2010, a diciott’anni, una prima svolta. A Mosca, nella categoria 55 kg, vince il bronzo ai Mondiali nonostante sia ancora juniores. «Tutte le volte che ci penso – ricorda – credo sia un risultato pazzesco per come è arrivato». Il 2010 è anche l’anno in cui Franck incontra Dalma, che diventerà poi sua moglie. «L’ho conosciuta durante un collegiale misti Italia-Cuba in preparazione dei Mondiali – dice – e anche lei come me è lottatrice e figlia di lottatori». L’insidia però è dietro l’angolo. Nell’ottobre 2011 ci sono i Giochi Panamericani a Gualadajara in Messico, dove Frank è in gara nei 55 kg. «In quell’occasione – racconta – non ho passato il peso e non ho potuto lottare». Un forfait che costerà caro a Chamizo, ma di fatto gli cambierà la vita. «La Federazione cubana mi ha squalificato per due anni – prosegue – considerando una mancanza di rispetto il mio fallimento al peso». Inutili i tentativi di chiedere spiegazioni. «Non avevo mai saltato una gara, né in passato mi ero comportato in maniera sbagliata, ma mi esclusero togliendogli anche la metà di quanto mi davano per la medaglia mondiale». Frank smette, anche se la squalifica da due anni viene ridotta a otto mesi. «Stavo tutto il giorno sul divano e mangiavo come un maiale», ricorda. Un stop che gli toglie le residue possibilità di andare a Londra 2012 e che finisce nel 2013. Grazie a Dalma, che nel frattempo era diventata la sua fidanzata. «Mi ha fatto capire che uno con il mio talento non poteva smettere di lottare – spiega –. E mi ha convinto a venire in Italia». L’arrivo è dell’aprile 2013, l’approdo è Genova. Un cambio di vita, non una fuga: «Io non ho problemi con i cubani, posso tornare quando voglio. E con alcuni miei compagni, con cui ho condiviso gare e ritiri ho ancora buoni rapporti». Nella città ligure Frank ricomincia con la lotta nella palestra “Mandraccio”, nella polisportiva di cui il padre di Dalma è presidente. «Grazie alla mia
esposa e alla sua famiglia – spiega – non ho avuto difficoltà ad ambientarmi. Mi hanno trattato come un figlio. Le uniche cose un po’ difficili sono state un po’ il clima e il cibo, ma mi sono abituato quasi subito». Sulla materassina Frank, che rispetto ai tempi di Cuba lotta nella categoria dei 65 kg, torna pian piano ad alti livelli. Vince qualche torneo e firma anche un contratto con il Vfk Schifferstadt, club della Bundesliga tedesca, dove combatte ancora. «Ogni settimana – racconta – parto il giovedì, spesso da Genova e lotto ogni sabato e domenica in Germania per poi ritornare in Italia il lunedì ». Frank entra anche nel giro della Nazionale ma non può gareggiare, perché non ha ancora la cittadinanza. Da quando la prende, nel febbraio 2015 con l’azzurro è primo amore. Europei under 23 a marzo, argento ai Giochi Europei di Baku a giugno e poi l’oro mondiale a Las Vegas. «Non riesco a spiegare a parole cosa significhi per me – afferma –. Sono felice, soprattutto dopo tutto quello che ho passato. È stato difficilissimo». Un titolo che nessuno in Italia aveva mai vinto e che ha un significato particolare perché a vederlo c’è anche suo padre Pavel, con cui si sente regolarmente. Adesso però c’è Rio. «La strada è ancora lunga – spiega –: devo ancora fare “scarico” del lavoro dei Mondiali ». Sulla gara a cinque cerchi il ragazzo cubano, neo arruolato nel Gruppo sportivo dell’Esercito, non si sbilancia. «Cercherò di arrivare al massimo – conclude – anche se, visto quello che è successo prima di Londra, ci crederò solo quando sarò lì».