mercoledì 1 marzo 2023
Goffredo Bettini analizza la crisi identitaria di un’intera parte politica e l'incapacità di dare forma a un’idea di mondo oltre i soli diritti individuali
Una manifestazione sindacale a Mirafiori nel 1980

Una manifestazione sindacale a Mirafiori nel 1980

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Leggendo il volume di Goffredo Bettini A sinistra. Da capo (Paper First, pagine 304, euro 18,00), viene in mente l’espressione di Palmiro Togliatti alla Camera nel 1947 per la fiducia del governo di Alcide De Gasperi: «Noi veniamo da molto lontano e andiamo molto lontano». Non si tratta di sicurezza granitica, ma della coscienza che per andare lontano bisogna recuperare la storia da cui si viene. Qui sta tutta la prima parte del libro, molto bella, quasi poetica, con ricostruzioni storiche profonde e sintetiche. Con un messaggio chiaro, che viene esplicitato alla fine: abbiamo dentro, senza saperlo appieno, una storia lunga che ci preme e ci trasforma. La storia non è solo conoscenza del passato, ma «la scintilla iniziale» che ha messo in moto un complesso movimento di riscatto dei «dannati della terra », secondo l’espressione di Frantz Fanon.

È un capitale umano e politico, che c’è e che non andrebbe disperso. Senza coscienza storica, non c’è futuro. Francesco scrive nell’enciclica Fratelli tutti qualcosa di inedito per un Papa: la «perdita del senso della storia» provoca «una sorta di “decostruzionismo”, per cui la libertà umana pretende di costruire tutto a partire da zero. Restano in piedi unicamente il bisogno di consumare senza limiti e l’accentuarsi di molte forme di individualismo senza contenuti».

C’è una frattura che ha segnato la vita politica della Seconda Repubblica: la fine del rapporto tra cultura e politica, che viveva in ogni partito, ognuno con la propria rivista culturale, i suoi dibattiti, i suoi intellettuali, i suoi storici…. Nessuna nostalgia, ma bisogna capire quel che è cambiato. Senza cultura siamo nell’effimero e nel teatrale, in cui rischiano di dominare i personalismi. È il mondo dell’“io”, dissolvitore di ogni “noi” politico, associativo, familiare, religioso. Jonathan Sacks, rabbino capo britannico, parla di un «mutamento climatico culturale »: dal “noi” all’“io”, terreno antropologico di sviluppo naturale dei populismi: tanti “io” che non si fanno “noi”, s’identificano nell’“io” del leader. Questo ha logorato i tradizionali partiti politici e le forme di vita associata. Ha logorato anche le Chiese, che hanno visto assottigliarsi i fedeli e la loro incidenza nella società. In Italia si avverte di più questo mutamento, perché i partiti erano il canale di partecipazione alla società e all’identità nazionale: era la Repubblica dei partiti – diceva Pietro Scoppola. Diverso in Francia, dove identità nazionale è costruita fin dalla scuola sulle istituzioni, al di là dei rassemblements partitico-politici. «Il rifiuto non basta: c’è bisogno del partito», scrive Bettini. Ma bisogna evitare che la sinistra si deteriori in una crisi, fatta di lotte personali, che sperperano il patrimonio di idee, in un «un partito che ha rinunciato a cambiare il mondo».

Si avverte un certo silenzio sul tema della pace, mentre in passato la sinistra incarnava l’irrinunciabile aspirazione alla pace (pace prima di tutto per l‘Ucraina, che non è filo-putinismo). La piazza del 5 novembre 2022 (lavoratori, brava gente, gente comune, organizzazioni sociali, cattolici), 100 mila e più persone, ha saputo spontaneamente incarnare quel discorso, con una proposta su cui si dovrebbe riflettere di più. Esiste ancora il “popolo”, parola sfuggente nel tempo del virtuale, ma vera. E c’è una cultura popolare, quella della pace, ma senza rappresentanza. Se il Pd diventa un partito dei diritti individuali, si logora la caratura umana della lotta per cambiare. Bettini scrive con onestà: «Tra una vecchia cerchia di amici inossidabili e gli aerei di Stato che ti portano a incontrare i grandi della terra, parte la testa e subito dopo l’anima. È umano. Politicamente imperdonabile».

Certo il popolo è cambiato, sembra non esista più. C’è tuttavia un’aspirazione a riconnettersi di nuovo agli altri, ed esiste più di quanto si creda. Lo stesso processo di individualizzazione nel mondo globale, che crea l’“io” solo, porta anche alla ricerca dell’altro: «Dare forma al pulviscolo che sfarina le nostre vite, questo sembra essere il problema del soggetto trasformatore». Si tratta anche di far crescere una visione: sono le idee che impediscono alla politica di diventare tatticismo o istrionismo alla ricerca di un consenso volatile. Bettini vive questo intreccio tra visione e realismo. Sullo sfondo c’è Roma, abitata con uno spiccato gusto per il mondo, stando attenti all’inclusione della periferia, che oggi appare «non più dolce, piuttosto incattivita».

Le conclusioni del libro sono in sintonia con il mio La Chiesa brucia, sulla crisi del cristianesimo europeo. È il nostro un pessimismo? Sì, c’è il timore per il declino dell’Europa, come una ma-lattia senile di una società di anziani, paurosa. Goffredo Bettini vede un parallelo tra la crisi del cristianesimo europeo e il socialismo che si sfalda nelle sue forme. Ma tutto non finisce con la «chiesa che brucia» o si svuota di fedeli. C’è una pietas cristiana diffusa, radicata nelle coscienze e nella storia, formatrice d’umanità. Il socialismo e il cristianesimo «sono un retaggio talvolta invisibile che agisce nel presente» e «ci rende diffidenti (nonostante le furbizie della politica) di fronte alla violenza delle parole, all’odio…».

Siamo tutti un po’ cristiani, un po’ laici, un po’ socialisti… Nel mondo dell’“io” spaesato, a volte senza radici, questo messaggio è stato assorbito dalla gente ed è vivo. Questo ci rende meno rassegnati, non si deve ripartire da zero. C’è una tradizione che «è una risorsa dell’anima, dice Bettini, a cui attingere a mani piene» e non solo a livello politico. David Maria Turoldo poeta e un grande cristiano, scrive una poesia-preghiera, vera anche per oggi: «Signore, salvami dal colore grigio dell’uomo adulto e fa’ che tutto il popolo sia liberato dalla senilità dello spirito. Ridonaci la capacità di piangere e di gioire…».

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