LeBron James, a 38 anni è diventato il miglior realizzatore della storia della Nba - Ansa
Bisogna prender fiato per pronunciarli tutti: trentottomilatrecentonovanta. Sono i punti messi a segno in carriera, una sequenza lunga come il cammino che ha portato il bambino senza tetto di ieri a salire oggi a 38 anni suonati sul trono dei marcatori di sempre nella storia del basket Nba. I numeri non dicono tutto (soprattutto in uno sport di squadra come la pallacanestro), ma danno l’idea del dominatore indiscusso di un’epoca. Ladies and gentleman, lui è LeBron James, che non ha certo bisogno di presentazioni. “Re” poi lo era già, da sempre lo chiamano “The king”. Ora però ha sottratto lo scettro del miglior realizzatore di sempre a uno come Kareem Abdul-Jabbar (che, è giusto ricordarlo, per metà della sua carriera non poté usufruire del tiro da 3 introdotto nel 1979). Proprio lui, il leggendario inventore del gancio cielo, in prima fila nella magica notte di Los Angeles ad applaudire e congratularsi con l’attuale fuoriclasse dei Lakers.
Un emozionante passaggio di consegne per un record che resisteva da quasi 39 anni: dal 5 aprile del 1984, solo otto mesi prima che la signora Gloria desse alla luce LeBron ad Akron (Ohio). Un’infanzia durissima perché il piccolo suo padre non l’ha mai conosciuto. Sua madre appena sedicenne, ha portato avanti da sola la gravidanza dopo essere stata abbandonata dal suo compagno. Una strada tutta in salita senza nemmeno un’abitazione dove andare a dormire. La madre ha spesso elemosinato l’ospitalità saltuaria di amici per salvarlo dalla strada e dalla malavita. LeBron non l’ha mai dimenticato: «Non ho idea di come abbia fatto a tenermi sempre felice, a comprarmi le scarpe, a farmi trovare tutti i giorni il cibo sulla tavola, a tenere calda la casa la notte d’inverno... È lei la mia ispirazione».
C’è però un luogo decisivo per la sua crescita come ha spesso ripetuto: il collegio cattolico St.Vincent-St.Mary High School di Akron. Qui non solo ha messo in mostra il suo talento cestistico, ma ha conosciuto Savannah, sua moglie, dalla quale ha avuto tre figli. E loro per primi ha omaggiato al termine di una partita in cui tutto il mondo aspettava il canestro del record, arrivato allo scadere del terzo quarto della sfida tra Lakers e Thunder. Braccia al cielo a ringraziare e indicare la strada a quanti pensano che la vita li abbia già tagliati fuori. È la missione della sua fondazione con la quale aiuta i ragazzi disagiati della sua terra. E adesso testa all’ultimo sogno: giocare con suo figlio Bronny, qualcosa che vale più dell’asticella simbolica dei 40 mila. Perché come dicono i migliori coach un bravo giocatore non conta mai i suoi punti e LeBron lo sa: «Non ho mai fatto del record un obiettivo - ha ripetuto a fine partita - Ho solo cercato di essere longevo, con l’obiettivo di essere il migliore ogni notte»