Una rara immagine del massacro di Debre Libanos - TV2000
Ha svelato per primo il lato oscuro del colonialismo italiano, documentando con i suoi studi le violenze e le atrocità commesse in Africa dagli italiani. Che, per citare uno dei suoi libri più noti, non erano brava gente e il nostro non era certo un colonialismo diverso. Angelo Del Boca, morto ieri nella sua casa torinese, è stato un grande storico, un pioniere, ma anche un grande giornalista che dal giornalismo vero ha mutuato il metodo nella ricerca storica. Quindi ha perseguito costantemente la ricerca della verità, spesso occultata, ha scelto temi nuovi con una grande attenzione ai particolari e alla verifica accurata dei fatti setacciando archivi dimenticati. E ha usato per primo un linguaggio poco accademico, curato, asciutto, con il ritmo del reportage.
Nato a Novara nel maggio del 1925, dirigeva la rivista di storia contemporanea “I sentieri della ricerca” e fu inviato speciale e caporedattore prima della “Gazzetta del Popolo” e poi del “Giorno”, che lasciò nel 1981 per dedicarsi all’università. Decise di diventare storico dopo aver constatato che in Italia le vicende coloniali erano state totalmente dimenticate e restavano avvolte in un alone romantico e nostalgico che copriva pericolosamente gli orrori. Un primo, fortunato volume sulla guerra d’Abissinia, pubblicato nel 1965 da Feltrinelli, lo convinse a insistere e, dopo un decennio di lunghe ricerche in archivio e sul campo, a dare alle stampe per Laterza i quattro monumentali volumi dedicati alle vicende de Gli italiani in Africa Orientale che lo impegnarono fino al 1984 e furono accolti con grande interesse. Anche con molte polemiche da parte degli ex coloni e dei reduci fascisti, che arrivarono a minacciarlo per aver leso l’onore patrio. Gli fu ostile anche la stampa conservatrice. Ma fu quell’opera fondamentale e nuova di storia coloniale ad aprire sentieri mai percorsi dalla ricerca storiografica nazionale creando, nell’università italiana, il concetto di critica dell’Oltremare italico e incrinando nell’opinione pubblica la convinzione degli “italiani brava gente”.
Negli archivi scovò ad esempio le prove segrete oppure occultate delle stragi compiute dalle forze armate italiane in Etiopia durante la guerra di conquista e l’occupazione. Trovò i telegrammi inviati da Mussolini a Graziani e Badoglio in cui il Duce autorizzava l’impiego dei gas, proibiti dalla Convenzione di Ginevra, contro gli etiopi, civili compresi. E rivelò le stragi compiute dopo la conquista di Addis Abeba, nel febbraio 1937, su ordine del vicerè Rodolfo Graziani. Il quale voleva vendicarsi e reprimere la ribellione dopo che un attentato lo aveva ferito. Scrisse Del Boca: «Alcune migliaia d’italiani, civili e militari, davano inizio alla più furiosa caccia al nero che il continente africano avesse mai visto». Massacrarono e violentarono in tre giorni di violenza brutale e impunita 30.000 etiopi. Celebre nel 1995 al riguardo la polemica con Indro Montanelli il quale, arruolatosi come sottufficiale in Eritrea, era il principale sostenitore della mitezza del colonialismo italiano e negava l’impiego di armi chimiche da parte della regia aviazione italiana in Etiopia. Ma nel 1996 Montanelli dovette scusarsi con Del Boca quando questi provò l’uso delle armi proibite. Lo storico piemontese dimostrò anche che Montanelli non era attendibile perché, durante i primi episodi di impiego delle armi chimiche, era stato ricoverato all’Asmara e, una volta dimesso, non tornò al fronte. Tra le altre opere di Del Boca, quella sugli Italiani in Libia, ancora attuale, che contribuì a svelare le deportazioni subite dai libici nei campi di concentramento e la spietata repressione dei ribelli. Celebri anche le biografie del negus Hailé Selassié e del rais libico Muhammar Gheddafi, incontrati durante una ricerca lunga quasi un secolo.