Monti: quattro mesi per completare il lavoro E muove Catricalà: ora i 350 decreti attuativi
Affastellate una sull’altra, le dichiarazioni freddissime dei leader di partito e dei sindacati sul piano-crescita producono in Mario Monti un misto di stupore e rammarico. Che culmina in uno sfogo, confidato ai ministri sentiti ieri dal ritiro milanese (ieri sera il premier ha partecipato anche alla serata inaugurale dello Stresa festival, kermesse internazionale di musica classica): «Da questo momento in poi noi siamo dei sopportati, non più dei supportati.
Da qui al voto le tensioni cresceranno, ma noi dobbiamo tenere duro e realizzare quanto ci siamo prefissati ». Sperava, il premier, che la politica e le parti sociali riconoscessero che quanto messo in cantiere dal Cdm di venerdì fosse il massimo possibile data la situazione finanziaria e la congiuntura internazionale. E che i distinguo legati all’incombente campagna elettorale fossero smorzati almeno sino a dicembre. Così non è, a sentire le prime reazioni, e al governo non resta che prendere atto dei fatti: anche se il ritardato accordo sulla legge elettorale impedisce ogni velleità di voto anticipato (a questo proposito Berlusconi nelle ultime ore avrebbe recapitato un netto «no» a Bersani sull’ultima bozza in circolazione), in questo clima gelido i mesi realmente a disposizione per completare l’agenda sono solo quattro.Il 23 dicembre, termine ultimo per licenziare la legge di stabilità, suonerà come un "tana liberi tutti". Perciò, a margine della riunione di esecutivo dell’altroieri, Monti ha convocato nel suo ufficio Antonio Catricalà e Corrado Passera affidando loro un compito delicato: garantire non solo che l’agenda per la crescita si traduca in provvedimenti settimana dopo settimana (nei prossimi giorni dovrebbe arrivare a Palazzo Chigi il crono-programma dei singoli ministeri), ma che vengano attuati i provvedimenti già varati nei mesi scorsi.Ieri il Sole-24 ore ha fatto un conto che dice tutto: dei 398 regolamenti e decreti attuativi che dovrebbero trasformare in realtà liberalizzazioni, semplificazioni e tagli ne sono stati realizzati appena 40. Ne mancano all’appello 358. «Così non va», è il monito del premier. Se i dicasteri non si sbrigheranno, sarà il sottosegretario - in team con i capi di gabinetto dei dicasteri - a centralizzare l’operazione.
Non lasciare nulla d’inattuato per Monti è il modo migliore per rispondere alle richieste di «concretezza » che vengono dai partiti. Anche se la voglia di una esplicita risposta verbale, ieri sera, era trattenuta a stento. «Abbiamo fatto più riforme noi in un anno che la precedente classe dirigente in venti», dice stizzito un ministro.
Ma i dossier in ballo suggeriscono di non alzare polveroni e attendere la prossima settimana per chiarimenti diretti con Alfano-Berlusconi, Bersani e Casini. Il motivo è intuibile: serve un forte sostegno del Parlamento per trovare i 6 miliardi e mezzo necessari ad evitare l’aumento Iva, per allargare gli obiettivi della ' spending review 2' e far fronte alle crescenti ricadute della crisi sull’economia reale (leggasi cassa integrazione), per rispettare la scadenza improrogabile della Legge di stabilità, per raggiungere una mediazione su giustizia civile, anti-corruzione e intercettazioni che soddisfi le attese dell’Unione europea. (M.Ias.)