Dal suo punto di vista Mario Monti, nel piatto, ha già messo molto: l’impegno a non toccare più il carico fiscale, a fare altre riforme impopolari, a creare «i fattori di contesto» perché il Paese cresca, a mettere in gioco risorse fresche non appena ci saranno le condizioni. Ma, dice il premier al mondo delle imprese e delle banche salito ieri mattina a Palazzo Chigi, «ora tocca a voi». Identico monito ripeterà, consapevole di dover incassare molte più condizioni, martedì prossimo ai sindacati.Il tema è uno, e uno solo: «Oltre a quello sui tassi d’interesse, c’è un altro spread che assume grande rilievo e riguarda la produttività». L’Italia ha dieci punti di ritardo rispetto alla Germania in termini di costo del lavoro per unità di prodotto, e la competitività ne risente. Non attraiamo investitori. Come se ne esce? Con un impegno di imprese e sindacati a «trovare un terreno di dialogo comune in tempi brevi» su contrattazione territoriale e aziendale e «contratti di solidarietà espansiva» (quelli per cui i più anziani fanno sacrifici economici per favorire l’ingresso delle nuove generazioni), organizzazione più flessibile del lavoro, uso massiccio dell’apprendistato «come forma di contrasto alla grave disoccupazione giovanile». Occorre farlo, dice Monti, anche perché interventi del genere fanno parte delle «raccomandazioni del Consiglio europeo di fine giugno». E il non-detto non è meno importante: in quella sede l’Italia incassò il principio del meccanismo anti-spread, ma la Germania pretese che Roma risolvesse del tutto le contraddizioni e le incrostazioni del suo mercato del lavoro.Come già si era intuito alla vigilia del tour con le parti sociali, l’esecutivo non potrà incentivare con soldi pubblici il nuovo «patto sociale», questo ritorno alla «concertazione leggera», sino a quando il pareggio di bilancio non sarà cosa fatta. Ma Monti non vuole che l’assenza di risorse diventi un alibi, e insieme a Passera e Grilli (presenti anche il sottosegretario Catricalà e i ministri Moavero, Fornero e Patroni Griffi) stende una relazione iniziale che ha un unico significato: «Abbiamo fatto molto di quanto chiedevate». I tre infatti elencano tutte le misure varate o in rampa di lancio su semplificazioni e liberalizzazioni, e annunciano un’agenda di fine mandato composta dallo sblocco di 50 miliardi per infrastrutture entro fine legislatura, interventi (minisgravi fiscali e fondi ad hoc) su innovazione e ricerca nel prossimo decreto sull’Agenda digitale previsto a metà settembre, nuove misure per un «fisco amico» - non meno caro, ma meno complesso - e per «l’efficienza della macchina giudiziaria». Letto in filigrana, è un programma che somiglia molto a quello steso dalle imprese in un documento comune dello scorso 1° agosto.Un punto di partenza per il nuovo «patto» già c’è, ed è l’accordo siglato dalle parti sociali il 28 giugno dell’anno scorso. Parole ben scritte che però il governo vuol vedere concretizzarsi presto, negli imminenti rinnovi dei contratti nazionali. È lì che il tema della produttività deve diventare sostanza. Non a caso Monti, in un’intervista a
Telenorba che filtra prima dell’incontro con le imprese, prima ribadisce che «la ripresa arriverà presto» perché «è dentro di noi», poi sferza: «Molto della sorte dei lavoratori e delle imprese è nelle mani delle parti sociali».