Mentre il centrodestra si mostra smarrito e diviso, il centrosinistra, che oggi gode di un oggettivo vantaggio nella lunga corsa che porterà gli italiani alle urne, si avvita in una discussione interna sui meccanismi di voto per le sue consultazioni interne sul candidato premier. Intanto, la partita sui meccanismi di voto per le elezioni vere e proprie, che ovviamente avrebbe poi una ricaduta anche sull’opportunità o meno di presentare coalizioni agli elettori, continua a ingarbugliarsi.Le primarie sono un utile esercizio di partecipazione democratica alla selezione delle candidature, tema al quale l’opinione pubblica è particolarmente sensibile in un clima dominato da scandalosi comportamenti di un non trascurabile numero di rappresentanti eletti. Dare la possibilità a militanti e simpatizzanti di pronunciarsi sulle candidature può essere un modo per contrastare la crisi evidente del sistema della rappresentanza. Per questo la decisione del Partito democratico e dei suoi alleati di tenere una consultazione di questo genere è apprezzabile, e lo è di più di quanto lo furono le esperienze precedenti, nelle quali in realtà la competizione era sostanzialmente formale. Questo valore positivo, però, rischia di essere inficiato da manovre procedurali, interventi dell’ultimo momento sulle regole delle primarie stesse, che possono far pensare alla volontà di condizionare dall’alto la libera espressione della scelta popolare e che, per il loro tecnicismo, risultano incomprensibili ai più. Questo non significa che i problemi non esistano. Il Pd ha uno statuto che anche esponenti autorevoli del partito giudicano cervellotico e impraticabile: lì è scritto che, in caso di primarie di coalizione, l’unico candidato del Pd può essere il segretario eletto nell’ultimo congresso. È una noma voluta a suo tempo da Walter Veltroni, che deve averci ripensato se ora sostiene che le primarie di coalizione sono una contraddizione in termini. In ogni caso si tratta di una norma che contrasta con l’esperienza di altre formazioni politiche di sinistra, dalla Spd tedesca, al Ps francese al Psoe spagnolo, che, pur tenendo consultazioni di partito e non di coalizione, hanno visto in vari casi primeggiare candidature diverse e contrapposte a quella del segretario in carica. Abrogare o sospendere questa norma è compito del Partito democratico, che però ha una certa difficoltà a radunare una maggioranza qualificata della pletorica assemblea del partito cui spettano le modifiche statutarie. Nel corso della riunione di questa assemblea a quanto pare, sarà presentato anche un nuovo regolamento per l’effettuazione delle primarie. Al di là dei contenuti di questo regolamento, che sono state criticate da Matteo Renzi e da Nichi Vendola oltre che da altri candidati con minori possibilità di affermazione, non è chiaro perché sia un solo partito a dettare le regole per una consultazione che coinvolge una coalizione. Sembrerebbe soltanto una questione procedurale, ma sta suscitando tensioni e preoccupazioni rilevanti, al punto che l’ex segretario democratico Veltroni parla addirittura di rischi di collasso del partito.Il fatto è che un problema politico difficilmente si risolve a colpi di regolamento. Le primarie di coalizione sono una specie di ircocervo, che hanno funzionato finché si svolgevano come operazione di consenso attorno a un candidato già riconosciuto da tutti, anche dai suoi competitori, come vincente. In una situazione in cui invece l’esito è incerto, è la stessa composizione della coalizione a risultare instabile. Vendola, in caso di vittoria di Renzi chiederebbe ai suoi elettori di sostenerlo? Difficile dirlo, e lo stesso vale nel caso inverso. In una situazione già così magmatica, introdurre problemi regolamentari può risultare assai pericoloso, perché al limite consente a chi fosse sconfitto di non riconoscere la piena legittimità del percorso, con conseguenze imprevedibili.Pierluigi Bersani, rinunciando all’esclusiva come candidato democratico che gli era conferita dallo statuto, ha dimostrato disponibilità e apertura. Forse non conviene neanche a lui dissipare questo patrimonio di lealtà riconosciuta imponendo regole che, a ragione o a torto, i suoi competitori considerano strumentali e improprie.