La colletta europea per l’Ucraina chiesta dal Papa Durante l’omelia della Messa per la festa della Divina Misericordia, papa Francesco ha ricordato che «il Vangelo della misericordia rimane un libro aperto» su cui tutti possiamo «continuare a scrivere i segni dei discepoli di Cristo» con quei «gesti concreti di amore che sono la testimonianza migliore della misericordia». E subito dopo, al
Regina Coeli, il Papa ha annunciato uno di questi gesti: una speciale colletta, in tutte le chiese cattoliche d’Europa domenica 24 maggio, per finanziare un progetto di soccorso umanitario alle vittime della guerra in Ucraina. L’iniziativa è straordinaria, sorprendente. E bisogna riconoscere che ci voleva tutta l’energia e la sensibilità di papa Francesco per riportare l’attenzione su un dramma che da due anni si consuma nel cuore dell’Europa in un clima che molto spesso sfiora l’indifferenza. Intanto c’è il costo umano della crisi. Più di novemila morti e 22 mila feriti. La crudele aridità delle cifre ci racconta una guerra vera, anche perché i morti sono in gran parte civili, uccisi dal fuoco incrociato, da bombe e missili che cadono sui centri abitati. Abbiamo un pezzo di Medio Oriente in Europa e quasi non ce ne curiamo. Dal febbraio 2015, cioè quando Ucraina e Russia hanno firmato, con la mediazione di Francia e Germania, l’accordo detto 'Misk II', il conflitto nel Donbass è sceso d’intensità, ma non si è certo spento. Si contano a decine le vittime da allora, a testimonianza di una ferita che nessuno per il momento riesce a rimarginare. Per metà guerra civile e per metà conflitto internazionale, l’incendio che si è sviluppato in Ucraina fa i danni umani più gravi proprio laddove si potrebbe pensare che le questioni siano solo politiche. Gli accordi di 'Minsk II', oltre a un cessate il fuoco che ha retto in modo relativo, prevedono che il Donbass ottenga uno status di larga autonomia all’interno dello Stato ucraino. Per arrivare a questo, però, il Parlamento di Kiev deve approvare una riforma costituzionale che non è stata approvata finora e non avrà mai i numeri per essere approvata. Le milizie filorusse quindi non disarmano, il che rende sempre più difficile la riforma costituzionale, e così via, in una spirale senza fine di accuse reciproche e ritorsioni. Nel frattempo l’Ucraina, a cui comunque è stato condonato il 20% del debito estero, viaggia sull’orlo di un crac economico e finanziario che potrebbe esserle fatale e che si ripercuote sulla popolazione, a cui intanto si chiede di reggere a una trasformazione della struttura produttiva che sarebbe durissima da affrontare anche per un Paese sano e tranquillo. La Russia, per parte sua, continua a essere penalizzata dalla sanzioni ed è diventata, dopo la 'riconquista' della Crimea, il paria d’Europa. Il che significa che l’Europa intera è spaccata, perché non si può pensare che Ovest ed Est del continente smettano di avere relazioni e scambi, siano questi economici, culturali, politici. La colletta di papa Francesco, quindi, va molto oltre l’ambito dell’iniziativa umanitaria. È un richiamo doloroso alle radici e all’anima del continente, è come se il Papa chiedesse se ci rendiamo davvero conto di che cosa stiamo facendo. L’Europa che non riesce a pacificare l’Ucraina è la stessa Europa che sa occuparsi dei migranti solo alzando muri di filo spinato, che non sa più spendere una parola unitaria ed efficace sui tanti teatri di guerra accesi nel mondo, che spesso si divide persino sulle strategie per fermare il terrorismo. L’Ucraina è uno dei fronti, il più pericoloso, di questa disgregazione. Che tutto questo avvenga proprio nelle terre da cui, più di mille anni fa, partì la cristianizzazione della Russia, è un elemento che dovrebbe farci riflettere. I tecnocrati di Bruxelles, gli
apparatciki del Cremlino e noi tutti.