Trecentoventi chilometri. Una linea di fuoco che da Sud a Nord taglia la regione ucraina del Donbass e comprende le città di Mariupol, Donetsk, Debaltseve e Lugansk, sino al confine russo. È questo lo spazio di terra nel quale si continua a combattere la guerra ucraina,
un conflitto a bassa intensità che, incurante del cessate il fuoco firmato lo scorso febbraio da separatisti filorussi ed esercito di Kiev, continua a mietere vittime, oltre 8mila dall’inizio di uno scontro ormai in corso da ben più di dodici mesi (gli ultimi giusto ieri: un soldato ucraino ucciso e altri tre feriti nel Donbass).La guerra in Ucraina non è finita. Nella capitale, nelle città occidentali di Odessa, Leopoli, Cernivci, la vita scorre tranquilla. I locali restano aperti sino a tardi, i giovani sciamano in giro per le vie del centro, auto di lusso sfrecciano verso i quartieri alla moda. Intanto, un centinaio di chilometri più a est si continua però a combattere
una lotta durissima e silenziosa, combattuta centimetro dopo centimetro, in un territorio cuscinetto fatto di check-point, conflitti a fuoco, barricate e colpi di mortaio. «A me non sembra proprio che questa si possa chiamare pace – racconta Taras Putivcev, 40 anni, volontario nelle formazioni filorusse che difendono la città di Donetsk, roccaforte ribelle e capitale dell’omonima autoproclamata Repubblica popolare, confluita nella Federazione russa –. Si sente sparare tutto il giorno, da una parte e dall’altra. Spesso è persino difficile capire da dove stiano arrivando gli scoppi di artiglieria, qui è il caos, non ci sono regole, ogni gruppo cerca di difendere il pezzo di terreno che si è conquistato, non importa come e a che prezzo». Chi combatte vive da mesi in scantinati abbandonati intorno all’aeroporto di
Donetsk, dove si registrano gli scontri più duri. Le immagini di distruzione del villaggio di Pisky, a pochi chilometri dallo scalo, sono la rappresentazione perfetta di un
conflitto che non intende fermarsi. Non un solo palazzo è stato risparmiato dai colpi d’artiglieria mentre gli uomini, da una parte e dall’altra, continuano ad assembrarsi, in attesa che il livello del conflitto torni ad alzarsi.La conferma del clima di grande tensione che si respira a Donetsk è il bombardamento che nella notte fra il 18 e il 19 luglio ha colpito diversi edifici nel centro della città, terrorizzando la popolazione civile e causando, secondo fonti del governo ucraino, la morte di 4 persone. Un segnale tangibile, quello dell’attacco a Donetsk, di un cessate il fuoco che sino a ora ha fallito su tutta la linea.
Secondo gli accordi di Minsk, stipulati in febbraio da Russia, Ucraina, Francia e Germania, nel corso di questi mesi le forze in campo avrebbero dovuto ritirare le armi pesanti dal fronte militare, permettere agli osservatori internazionali un monitoraggio completo ed effettivo della zona di guerra e del confine russo-ucraino e organizzare una tornata elettorale in tutta la regione che tenesse conto delle richieste ribelli di indipendenza, ma sotto l’egida politica ucraina. Nessuno di questi punti è stato concretamente implementato e la sensazione è che le schermaglie militari che si sono registrate nel corso delle ultime settimane potrebbero presto riesplodere in un nuovo conflitto su larga scala. «Stiamo combattendo contro Vladimir Putin, una persona che non è mentalmente stabile – ha dichiarato qualche giorno fa alla stampa Andryi Gegert, comandante dell’ottavo battaglione della formazione Settore Destro, la forza politica ultranazionalista che ha organizzato un nutrito gruppo di volontari in appoggio all’esercito regolare di Kiev e che si batte alla porte della città di Mariupol –.
Nel resto dell’Ucraina, forse nel resto d’Europa, ci si è dimenticati della nostra guerra. Eppure qui la situazione continua a peggiorare. La scorsa settimana un mio uomo è stato ucciso in una sparatoria contro i ribelli vicino alla città di Shyrokyne (un piccolo villaggio sul Mar d’Azov, a una trentina di chilometri da Mariupol,
ndr ), quotidianamente rischiamo la vita per il nostro Paese, ma nessuno ne parla. La soluzione non c’è, purtroppo. Tutto quello che possiamo fare è uccidere i nostri nemici e difendere la patria ucraina!». Ufficialmente il governo degli Stati Uniti ha deciso di ritirarsi dalla partita diplomatica, ma appare chiaro il coinvolgimento Usa nella strategia utilizzata dal presidente ucraino Poroshenko nel corso degli ultimi mesi. La decisione dell’esecutivo di Kiev di nominare Mikheil Saakashvili, ex presidente della Georgia e personaggio particolarmente inviso alla Russia, come nuovo governatore della regione di Odessa, e il rigido blocco economico e commerciale imposto a tutta la regione del Donbass dal governo ucraino, sono infatti sembrate scelte di campo coordinate e sostenute dall’amministrazione americana.Il ruolo di Washington è invero divenuto centrale negli ultimi mesi: dopo che Francia e soprattutto Germania hanno inevitabilmente scelto di defilarsi dal confronto per concentrarsi sulla crisi economica greca, il governo americano ha deciso di impegnarsi in prima linea nel timore di lasciare campo libero a Mosca. «Con l’accordo di Minsk la Russia si è ritagliata un ruolo fondamentale nella discussione politica in corso – ha spiegato Alexander Khodakovsky, un ex ufficiale delle forze speciali ucraine, oggi fra i leader militari delle formazioni ribelli a Donetsk –. Durante le trattative è stata chiarita l’influenza russa sull’area del Donbass e adesso è necessario fare i conti con noi». Alla luce dei fatti, lo scenario più credibile appare al momento quello di
un conflitto da congelare, con la regione di Donetsk considerata de facto come entità autonoma e sostenuta finanziariamente dal governo russo. Data le disastrose condizioni economiche del governo centrale ucraino, una soluzione di questo genere potrebbe forse trovare diverse sponde favorevoli. Di fatto, garantirebbe all’Ucraina lo status quo diplomatico sulla regione, e ai ribelli l’effettivo controllo dell’area. Sono in molti, d’altronde, a sostenere il disimpegno di Kiev nella battaglia a Est. «Non capisco per quale motivo i nostri uomini debbano andare a morire per riunificare un territorio che non ha intenzione di stare con noi e che non condivide i nostri ideali europeisti – spiega Alissa Novitchkova, legale dell’organizzazione non governativa Euromaidan Sos –. Smettiamola di combattere: se vogliono stare con la Russia, che ci stiano, l’importante è che ci lascino in pace». Intanto nella capitale c’è chi ha ingaggiato una vera battaglia contro le formazioni politiche più a sinistra: ieri il ministro della Giustizia Pavlo Petrenko ha deliberato che i tre partiti comunisti ucraini ancora attivi vengano messi fuori legge. A scontrarsi però con un’ipotesi di disimpegno è il
timore che Mosca, una volta ottenuto il via libera nella regione del Donbass, possa insistere cercando di penetrare in altre aree del Paese.In tanti, all’inizio degli
scontri fra Russia e Ucraina, partiti nella primavera del 2014, pensavano che Vladimir Putin si sarebbe accontentato della Crimea, ma non è andata così.
Dopo Sebastopoli è stato il turno di Donetsk, e in molti credono che l’obiettivo seguente potrebbe collocarsi più a Nord, verso la città di Kharkiv.
La guerra in Ucraina, purtroppo, non è ancora finita.