I genitori di Charlie Gard (Ansa)
Comincia questa domenica, alle 15, davanti al Great Ormond Street Hospital (Gosh), il prestigioso centro pediatrico londinese, una veglia per Charlie Gard, il piccolo affetto da sindrome da deplezione del Dna mitocondriale, che compirà un anno il 4 agosto e che è ricoverato nella terapia intensiva della struttura dall’ottobre 2016. A poche ore da quella che potrebbe essere l’udienza finale del caso, domani (ma il verdetto del giudice Nicholas Francis della sezione famiglia dell’Alta Corte londinese è atteso per martedì) è ancora una volta alla preghiera e alla testimonianza civile che si affida il “popolo di Charlie”, persone semplici e attivisti impegnati per difendere la vita, nel quale si riconoscono i tanti che in molti Paesi – Italia in testa – stanno dando vita a una mobilitazione commovente, significativa e senza precedenti.
Per il giudice e gli avvocati della famiglia Gard e dell’ospedale è un fine settimana di studio sulle risultanze dei tre esami clinici – un elettroencefalogramma, una risonanza magnetica al cervello e un’altra all’intero corpo del bambino – realizzati nella settimana appena conclusa su richiesta dell’équipe internazionale guidata dal neurologo americano Michio Hirano, cui si deve la terapia sperimentale invocata dai genitori di Charlie, e dallo specialista dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma, Enrico Silvio Bertini.
La sommaria divulgazione del loro esito da parte dell’avvocato dell’ospedale londinese Katie Gollop durante l’udienza tecnica di venerdì pomeriggio davanti all’Alta Corte aveva suscitato la comprensibile reazione di Connie e Chris Gard, che ancora non sapevano nulla sulle risultanze delle analisi. Un altro segnale del clima di aspra contrapposizione tra la famiglia Gard e il Gosh, il cui legale è sembrato perseguire una strategia alquanto spregiudicata avendo come obiettivo la conferma delle quattro sentenze che autorizzano l’ospedale a lasciar morire il piccolo.
«È arrivato il risultato delle risonanze magnetiche – ha annunciato Gollop in aula, presenti papà e mamma Gard, ignari di tutto e pieni di speranza –, è una lettura triste». Uno schiaffo ai genitori di Charlie: «Non è così che dovevamo saperlo» ha gridato Connie scoppiando in lacrime e lasciando l’aula, mentre Chris è stato meno diplomatico affrontando con rabbia l’avvocato dell’ospedale e sibilandole «cattiva!». Gollop poi si è scusata, tra l’imbarazzo del giudice Francis, ma non è un mistero che l’Alta Corte già si era espressa per la morte di Charlie in aprile e che l’ospedale difenda con la sua scelta di non praticare altre terapie anche il proprio prestigio non accettando che si possano ottenere altrove i risultati che la sua celebrata struttura clinica non è stata in grado di ottenere.
Per i Gard e il loro avvocato Grant Armstrong – che ha protestato vibratamente contro la divulgazione pubblica di informazioni cliniche riservate e non conosciute neppure dai diretti interessati – è un momento molto difficile, anche perché secondo quanto trapela gli esami non darebbero margini di manovra per praticare il protocollo sperimentale. Gli stessi medici che hanno chiesto alla Corte di poter dare una chance a Charlie sembra abbiano dovuto prendere atto che a fronte di una situazione neurologica ancora recuperabile l’apparato muscolare presenti viceversa un quadro ormai irrimediabilmente compromesso.
Resterebbero dunque solo terapie palliative per lasciare che la malattia di Charlie faccia il suo corso.
Mentre si spera comunque in un nuovo miracolo – tre settimane fa la sorte di Charlie sembrava già segnata –, agli osservatori non sfugge che gli esami clinici di questa settimana sono stati i primi da aprile: il che significa che i medici del Gosh hanno dato il piccolo per spacciato già allora, e che questi tre mesi sono stati impiegati per una dura contesa giudiziaria anziché per chiamare in causa per tempo i migliori specialisti mondiali di malattie mitocondriali. Che sono accorsi appena gli è stato concesso di farlo, quando però forse era troppo tardi.
Invita a guardare alla situazione con fiducia Gregory Mertz, portavoce di “CitizenGo”, organizzazione che si è battuta perché la richiesta dei genitori sia ascoltata lasciando che Charlie sia curato in una delle due strutture che si erano rese disponibili – il Presbyterian Hospital di New York e il Bambino Gesù di Roma –, raccogliendo oltre mezzo milione di firme sotto una petizione mondiale per assecondare la richiesta dei genitori di Charlie: «Sono in contatto con loro – spiega Mertz –. Soltanto durante l’ultima settimana sono state raccolte 45mila firme. Ce la possiamo fare».