Anche l’attore e regista Ricky Tognazzi, insieme a sua moglie Simona Izzo, figura nella lista dei firmatari dell’appello contro la pratica dell’utero in affitto lanciato nei giorni scorsi da personalità di diversa provenienza insieme ad altri nomi del mondo dello spettacolo fra cui Claudio Amendola e la sua compagna Francesca Neri, Cristina Comencini, Giulio Scarpati, Stefania Sandrelli, Claudia Gerini. Un passo coraggioso e anticonvenzionale.
Ricky, cosa l’ha spinta ad esporsi con una firma contro l’utero in afitto?«È stata una decisione non semplice dato che coinvolge la libertà individuale delle persone e che sembra addirittura contraddire certe battaglie del passato sulla libertà del proprio corpo. Ed è stata una presa di posizione sofferta anche nei confronti di certe minoranze, come il mondo omosessuale, che cerca di essere messo alla pari nei propri diritti».
Eppure il passo lo ha fatto.«Sono convinto che non si può commercializzare il corpo di una persona. Il rischio è quello di entrare in un mercato perverso. Non a caso le madri surrogate provengono soprattutto dal terzo mondo. Si tratta di sfruttamento, e ne approfitta il più forte sul più debole. Vedo in giro queste ricche coppie borghesi a caccia di maternità e paternità che trovano un servizio... Difendo la libertà per le donne di non dover cadere in questa forma di mercato».
Come siete stati coinvolti lei e sua moglie?«Ci ha chiamati Simonetta Robiony, che è nostra amica, anche a nome di Cristina Comencini. È stato il frutto di un dibattito interno fra di noi su un tema delicato soprattutto dopo avere combattuto negli anni ’70 a favore della libertà delle donne di gestire il proprio corpo. Allora si trattava dell’aborto, una battaglia a mio avviso più che altro per dare regole al fenomeno. Credo che nessuno obiettivamente sia a favore dell’aborto».
L’utero in affitto, come accennava lei, è un fenomeno che però coinvolge non solo le donne ma anche il mondo omosessuale...«Abbiamo tanti amici omosessuali, e ormai il dibattito sul diritto alla maternità o alla paternità è allargato, anche se quando si parla del cosiddetto "gender" ci si infila in un campo pieno di trappole. Capisco il loro desiderio di paternità e di maternità, ma non vedo altri modi al di là dell’adozione. In primo luogo ne va della dignità e della libertà delle donne anche di non affittare il proprio corpo».
Che riflessioni ha fatto?«Ci sono tante implicazioni su cosa avviene durante e dopo la gestazione. Uno si domanda se durante la maternità ospitare questa creatura dentro di sé non la faccia diventare figlio tuo più ancora di chi ne è geneticamente il genitore. E una volta partorito, dover abbandonare questo bambino cosa comporta umanamente? E se la madre in affitto cambia idea e lo vuole tenere? Può fare qualcosa? Ci sono troppe complicanze etiche e di carattere emotivo».
Ha detto che lei e Simona avete discusso molto prima di arrivare a firmare...«Simona e io abbiamo la capacità di non trovarci d’accordo su niente, e questo è forse il segreto della nostra lunga convivenza. Il nostro impegno è frutto ragionato di un dibattito piuttosto acceso in famiglia, perché non l’abbiamo pensata immediatamente allo stesso modo. Ma, alla fine, un accordo sulle cose importanti si trova».