lunedì 16 settembre 2024
Disponibile in Italia un nuovo modello di cardiostimolatore: meno di 3 centimetri, adatta il ritmo alle attività svolte dal paziente e riduce il rischio di infezioni
Il nuovo modello di pacemaker senza fili

Il nuovo modello di pacemaker senza fili

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Decisamente più piccolo del modello tradizionale (misura 2,7 cm), meno di una pila AAA, e già disponibile in Italia, dove ogni anno vengono impiantati ben 50mila dispositivi per la stimolazione cardiaca: è il primo modello di pacemaker senza fili, presentato il 13 settembre a Milano e distribuito da Abbott.

Come i pacemaker con i fili, questi apparecchi definiti "leadless" devono essere sostituiti ogni 10-12 anni, ma la loro innovativa fissazione attiva è più sicura e durevole. È Antonio Curnis, cardiologo allo Spedali Civili di Brescia, a spiegare il modo in cui il pacemaker «si avvita alla parete cardiaca, riducendo le lesioni al tessuto e le difficoltà nella sostituzione». Così, oltre a ridurre il rischio di infezione, che colpisce un paziente su dieci, può essere inserito anche in soggetti in condizioni critiche.

I pacemaker senza fili si regolano senza dispositivi sottopelle, adattandosi direttamente al ritmo del corpo, anche in base alle attività svolte. «Questo li rende meno invasivi e impattanti sia esteticamente che psicologicamente, così sono più accettabili anche dai pazienti più giovani» sottolinea Stefano Guarracini, primario di Cardiologia alla Clinica Pierangeli di Pescara.

I notevoli benefici, Claudio Tondo, direttore del Centro cardiologico Monzino di Milano, scontano però il problema economico: «Attualmente i pacemaker leadless monocamerali costano tra i 6 e i 7mila euro, mentre per quelli tradizionali siamo attorno ai 1.500». Per quanto il prezzo sia elevato, ci sono risparmi a lungo termine dovuti alla riduzione delle complicazioni e delle sostituzioni che giustificherebbero l’investimento. Infatti, ogni estrazione può costare fino a 30mila euro, senza contare le cure antibiotiche legate alle molteplici infezioni, il periodo di degenza e i rischi associati. A questo si aggiunge il tasso di mortalità che in operazioni simili può arrivare fino al 30%. Tuttavia, chiosa Tondo, «non si torna indietro: la tecnologia e la ricerca costano, ma i benefici per i pazienti sono sempre la priorità».

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