mercoledì 7 febbraio 2024
L'opinione pubblica sta sviluppando una crescente avversione alle forme di sopraffazione nei confronti delle donne. Perché non fare il possibile per evitar loro la sofferenza prodotta da un aborto?
Olimpia Tarzia (a sinistra) a una manifestazione del Movimento Per

Olimpia Tarzia (a sinistra) a una manifestazione del Movimento Per

COMMENTA E CONDIVIDI

Vorrei affrontare una riflessione sul tema proposto dai vescovi italiani per la Giornata nazionale per la Vita 2024 («La forza della vita ci sorprende») con una prospettiva di sguardo di donna e di madre. La cronaca ci riporta continui terribili casi di violenza sulle donne, ma mi domando perché nulla mai si racconta sulla violenza devastante causata da un aborto: eppure riguarda – secondo i dati ufficiali – circa 70mila donne l’anno... devastazione che, nel mio quarantennale impegno per la vita, ho colto nel cuore profondamente ferito di chi l’ha vissuto e nello sguardo irrimediabilmente malinconico per un figlio mai nato, perché non è stato loro tutelato il diritto di essere libere di non abortire.

Sarebbe bastato accoglierle, ascoltarle, aiutarle a superare le difficoltà. Silenzio assoluto poi sulla drammatica solitudine di oltre 12mila donne (stime Msal) che ricorrono all’aborto clandestino: non è catalogata come violenza. Ci siamo tutti commossi nel vedere la piccola Indi Gregory stringere la mano della mamma poco prima che l’eutanasia di Stato le togliesse la vita, ma nulla mai si racconta della quotidiana violenza tramite la selezione eugenetica praticata su migliaia di nascituri, colpevoli di non essere “perfetti” nell’arbitraria scala della “qualità di vita”, divenuta ormai un dogma.

E non è forse una violenza insopportabile, una moderna schiavitù, affittare l’utero di donne povere e disperate per venderne il figlio a ricchi e vip? Inclusione, parità dei diritti, uguaglianza, solidarietà: termini che ritroviamo copiosi in qualsivoglia iniziativa culturale e sociale, ma che, quando riguardano malati terminali e disabili gravi, in ossequio alla stringente logica del politically correct, svaniscono drammaticamente, squarciando il velo di ipocrisie che copre l’implacabile cultura dello scarto.
C’è chi ritiene troppo inquietante e sconvolgente volgere lo sguardo verso chi chiede di morire (perché sofferente e solo), troppo impegnativo garantirgli dignità nel morire alleviandone la sofferenza con le cure palliative e dunque ne sentenzia la morte, ammantandola di una presunta misericordia.

Confusione e disorientamento, complice antilingua e decadenza del pensiero. Equivoci, alterazioni dell’informazione scientifica, illogicità disarmanti, assurdità mascherate in vario modo sono propinate a getto continuo, col risultato che la gente capisce sempre meno cosa è vero e cosa è falso. Non è un fatto di fede: il piccolo bambino concepito non è un “progetto di vita”, né un “fatto politico” o un< “invenzione della Chiesa”, bensì un nuovo individuo della specie umana, dotato di una sua personale e irripetibile identità. Un figlio, insomma! Il più debole e indifeso figlio della comunità umana: non si vede, non si sente, non può scendere in piazza per far valere il suo diritto a nascere e, soprattutto, non vota! Se si rinuncia a difenderlo come potrà essere esercitata l’attenzione verso altri deboli e fragili?

La vita dei bambini, nati e non nati, viene sempre più concepita come funzionale ai desideri degli adulti. Non è questo il futuro che vogliamo per i nostri figli.

Presidente Movimento Per
Politica Etica Responsabilità

Due nuove newsletter a breve in casa Avvenire: Noi in famiglia, ogni domenica mattina, per riflettere sui temi che riguardano genitori e figli e È vita, ogni mercoledì mattina, con notizie e approfondimenti sulle frontiere della vita umana e della medicina. Iscriviti gratuitamente a Noi in famiglia e a È vita CLICCA QUI


© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: