Sono piccoli, piccolissimi e fragili. Sono i neonati prematuri, quelli che "non possono aspettare" e nascono prima del termine naturale della gravidanza. Scriccioli lottatori che hanno bisogno di cure e assistenza speciali. Proprio a loro è dedicato il XXI Congresso nazionale della Sin – Società italiana di neonatologia – che si tiene da oggi a sabato a Palermo e che tratterà di patologie, cure neonatali, assistenza respiratoria, trattamento del dolore, problemi medico-legali. Ne parliamo con
Costantino Romagnoli, direttore dell’Unità operativa di Terapia intensiva neonatale del Policlinico Gemelli di Roma e presidente nazionale della Sin.
Quando si definisce un neonato prematuro?
«Il neonato prematuro è quello che nasce prima delle 37 settimane e riguarda il 7-8% della popolazione. Oggi però vogliamo mettere l’accento sui quei bambini dall’età gestazionale molto bassa, inferiore cioè alle 32 settimane (pari al 3%) e alle 30 settimane (1%). Numericamente forse non sono tanti, ma, come recita anche il titolo del congresso, sono tanto importanti, perché costituiscono la maggior parte della mortalità infantile nel mondo».
Quali sono le cause note della prematurità? Ci sono fattori o condizioni particolari di gravidanza che ne aumentano la probabilità?
«Premesso che in alcuni casi il parto prematuro è indotto per evitare problemi alla madre e al nascituro, è sorprendente che per quasi un quarto delle gravidanze concluse pretermine non c’è una causa identificabile. È possibile individuare alcune costanti: l’età materna, l’ipertensione, il diabete, la gemellarità e anche la fecondazione artificiale. In quest’ultimo caso si realizza spesso un combinato composto di condizioni non favorevoli. Il vero successo della perinatologia sarebbe riuscire a evitare nascite premature, ma non è possibile: quando il meccanismo del parto si è avviato è impossibile fermarlo».
In caso di nascita pretermine non c’è più rassegnazione, anzi, negli anni le possibilità di sopravvivenza di questi neonati sono aumentate...
«Oggi siamo in grado di garantire un’assistenza tale per cui seguiamo con successo bambini il cui rimanere in vita vent’anni fa sarebbe stato definito un miracolo. Sulle 24-25 settimane alla nascita la sopravvivenza si attesta sul 60% e questo grazie agli studi di fisiopatologia che ci hanno insegnato che questi neonati non sono miniature, "bambini un po’ più piccoli", ma sono proprio un altro mondo. E ciascuno è un caso a sé».
Il pensiero va alle polemiche sulla rianimazione dei grandi prematuri
«Sopra le 24 settimane il problema non si pone, perché si rianimano tutti. A 22-23 settimane le raccomandazioni che presentiamo come Società italiana di neonatologia sono di valutare caso per caso. Ma il vero problema è che ai giorni nostri non si accetta più la morte, le persone sono convinte che la medicina possa fare tutto e si aspettano sempre di più dai medici».
La nascita molto precoce aumenta il rischio di disabilità?
«Anzitutto ricordiamo che ci sono fattori per cui anche il neonato a termine può essere a rischio di disabilità alla nascita, ma è innegabile che sotto le 26 settimane di gestazione tra il 15 e il 20% dei bambini possono sviluppare handicap più o meno gravi. Percentuale che scende al 2-6% per le nascite premature sopra la ventiseiesima settimana».
Cosa si può ancora fare per migliorare?
«La ricerca avanza, ma siamo esseri umani, non macchine, e non esistono pezzi di ricambio. I limiti li impone la natura: sotto le 22 settimane la sopravvivenza non è possibile perché non si sono sviluppate le strutture polmonari. Ma il lavorare a situazioni limite ci fa capire molte cose e facilita il miglioramento dell’assistenza per gli altri bambini più grandicelli. Inoltre, grazie al monitoraggio fornito dalla diagnosi prenatale, oggi nascono a 26 settimane bambini che una volta morivano in utero».