giovedì 4 luglio 2024
Il parere del Comitato nazionale per la Bioetica su cosa si intende per trattamenti di sostegno vitale aiuta a capire le sentenze di Corte costituzionale e Corte europea sul suicidio assistito
Domenico Menorello

Domenico Menorello

COMMENTA E CONDIVIDI

«Si ritiene che la liceità del suicidio assistito debba essere assicurata senza discriminazione ». Il concetto è alla base dell’ennesima richiesta, questa volta del gip di Milano il 23 giugno, alla Corte costituzionale di abrogare per via giudiziaria il senso stesso del Servizio sanitario nazionale. Infatti, per l’articolo 32 della Costituzione e per l’articolo 1 della legge 833/78 esso è il «complesso... dei servizi e delle attività destinati al recupero della salute di tutta la popolazione senza distinzione di condizioni individuali ». Quel «senza distinzioni di condizioni individuali» marca l’opzione di voler curare ogni condizione di vita, assumendo ciascun istante di esistenza come meritevole di valore assoluto.

Questa specifica finalizzazione della sanità pubblica “dice” ai fragili e ai malati che la loro vita è importante e merita grandi attenzione e cura. Se invece il Ssn diventasse utilizzabile anche per dare la morte a un malato saremmo di fronte a un’epocale svolta di significato: tramite le sue istituzioni sanitarie la Repubblica “direbbe” agli stessi malati che la loro vita non merita di venire curata. Ammoniva Cecily Saunders, fondatrice delle cure palliative, che dire a un malato “tu puoi andartene” in realtà significa bisbigliargli all’orecchio “tu devi andartene perché la tua vita è un peso”. Due insigni statistici delle università di Bologna e Padova dimostrano la concretezza di questo crinale con i numeri di quel che succede in Paesi come Belgio, Canada, Olanda e Svizzera, in cui dopo la legalizzazione dell’eutanasia o del suicidio assistito c’è stata un’impennata delle domande di morte assistita, rimanendo invariati i suicidi volontari (Ahser Colombo, Gianpiero Della Zuanna, La demografia del fine-vita, in Rass. It. Sociologia, 2023).

Se si tiene conto di tale possibile implicazione antropologica e sociale, si coglie anche il prezioso significato del documento del Comitato nazionale per la Bioetica pubblicato il 2 luglio, che traeva occasione dal dover dare risposta al Comitato etico umbro circa il significato dei “trattamenti di sostegno vitale”, che la sentenza della Consulta n. 242/2019 ha inserito fra i requisiti necessari per non applicare la pena inflitta dall’articolo 580 del Codice penale a un medico che volontariamente assistesse un atto suicidario. Per riscontrare il quesito è stata assunta come dato di fatto la situazione introdotta sia dalla legge 219/2017 (sulle Dat) sia dalla citata pronuncia 242/19 anche da parte di chi non le ha condivise, per indicare comunque la priorità bioetica nell’attuazione di tale sentenza.

Si è registrato così una tanto significativa quanto non scontata convergenza. Spesso infatti in materie così complesse si verificano sensibili spaccature, come accadde sul tema del suicidio medicalmente assistito nel parere del 18 luglio 2019, quando la posizione di maggioranza ottenne solo 13 voti a fronte di 11 per una posizione sensibilmente diversa e 2 per un’ulteriore proposta. Invece il 20 giugno il Cnb è stato in grado di compattarsi sull’attenzione bioetica verso la fragilità che, anche grazie alla preziosa costruttività di componenti quali Andrea Manazza e Stefano Semplici, oltre che del presidente e dei vicepresidenti, ha raccolto il favore di ben 24 componenti, con soli 4 voti contrari. Tale priorità bioetica è stata ripresa dalla stessa sentenza 242, dove si coglieva il senso del delitto di aiuto al suicidio nello scopo «di perdurante attualità di tutelare le persone che attraversano difficoltà e sofferenze, anche per scongiurare il pericolo che coloro che decidono di porre in atto il gesto estremo e irreversibile del suicidio subiscano interferenze di ogni genere».

Il Cnb ha raccolto questo allarme, alla luce dell’attuale «contesto demografico, sociale e culturale » che «contribuisce ad aggravare condizioni di solitudine che sono molto più sofferte dai pazienti più vulnerabili, rispetto ai quali si misura in primo luogo la capacità di non intaccare l’essenziale orientamento del Ssn verso le funzioni di cura». Di qui, l’ampia convergenza nel ritenere bioeticamente necessario, per la non punibilità, il requisito dei “trattamento di sostegno vitale” allo scopo di non esporre l’ampia platea dei malati irreversibili «a una inaccettabile pressione, inducendo peraltro una generalizzata apertura nei confronti dei percorsi suicidari». Così se il 17 settembre il tema approderà nelle aule parlamentari, ci si attende una altrettanto vasta capacità di dare la dovuta attenzione ai malati e ai più fragili.

* Membro del Comitato nazionale per la Bioetica Portavoce network associativo “Ditelo sui tetti”

Abbonati alla newsletter settimanale di "è vita", l'informazione di Avvenire su bioetica e salute. È gratis. CLICCA QUI

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: