Nel dibattito internazionale sulla maternità surrogata, è interessante illuminare due sentenze di altrettante Corti di Cassazione: quella francese e quella italiana. Entrambe si sono pronunciate sugli aspetti civili del problema, rispondendo a una delle domande che questa pratica suscita in modo sempre più pressante: di chi è figlio il bimbo nato da un utero in affitto? Del genitore (l’uomo, nella fattispecie) che ha fornito il proprio patrimonio genetico e della madre (a cui il bimbo è stato tolto) che l’ha partorito, han detto settimana scorsa i giudici d’oltralpe. Di nessun partecipante al contratto di surrogazione di maternità, avevano diversamente ritenuto i magistrati italiani nel settembre 2014. Due sentenze diverse, insomma, per due casi tutto sommato simili. Il punto di partenza è la pretesa di altrettante coppie. Che vogliono avere figli, ma non possono: quella francese è gay, quella italiana è incapace di generare. Entrambe decidono allora di ricorrere alla maternità surrogata, ma all’estero, perché i loro Paesi la vietano. I francesi vanno in Russia, gli italiani in Ucraina. I primi «assemblano» due bimbi (con il seme di uno dei due uomini, gli ovociti forniti a pagamento da una donna e l’utero affittato da un’altra ancora), i secondi uno solo (l’uomo fornisce il proprio sperma, ma per esami successivi certificheranno che – per ragioni ignote – quel corredo genetico non appartiene al bimbo). Rientrati in patria, si aprono diversi procedimenti giudiziari. Tra cui quello sulla genitorialità dei bimbi, che arriva alle due rispettive Cassazioni. Per confermare lo stato di adottabilità del minore, quella italiana parte dal presupposto che il nostro ordinamento «contiene un espresso divieto, rafforzato da sanzione penale, della surrogazione di maternità». E precisa che tale divieto è posto «a presidio di beni giuridici fondamentali», nel caso di specie «la dignità umana della gestante e l’istituto dell’adozione». Qui arriva il nodo fondamentale della pronuncia: per gli ermellini italiani il supremo interesse del bimbo consiste nell’esser dichiarato figlio di colui che è genitore in forza di legge (dunque maternità naturale o adozione), non in virtù di un contratto commerciale (qual è a tutti gli effetti l’accordo di surrogazione di maternità). Diversa la prospettiva disegnata dai giudici francesi che hanno assecondato una recente pronuncia emessa dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha sanzionato proprio la Francia per non aver riconosciuto la genitorialità surrogata. Lasciando così il piccolo – a detta dei giudici di Strasburgo – in una situazione di incertezza rispetto ai diritti d’eredità. Non solo. Per i magistrati d’oltralpe, «diritto» dei genitori è quello di generare quando e come vogliono, secondo quella pretesa «autodeterminazione nelle scelte procreative» che rischia di prender piede anche in Italia. Là dove la Cassazione italiana aveva ritenuto diritto inalienabile del bimbo quello di non nascere da un accordo commerciale, la collega francese ne ha fatto una mera questione ereditaria. Molto diverso il piano considerato: il primo attiene alla dignità dell’esistenza umana, il secondo a un aspetto di rango tutto sommato più basso e comunque disciplinabile nell’interesse del minore anche senza bisogno che venisse riconosciuta la surrogazione. E poi: se entrambi gli ordinamenti vietano l’affitto dell’utero, perché incoraggiare chi elude la legge con l’artificio dell’espatrio?
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