Per molte femministe radicali il prossimo 8 marzo segnerà la fine del secolare movimento di emancipazione della donna. È infatti in questi giorni che verrà presentata ufficialmente all’Onu la richiesta che il movimento femminista venga inglobato, insieme alle associazioni Lgbtq, nel quadro teorico e pratico del "sistema gender". Costoro si dicono infatti convinte che solo mediante l’annullamento "ideologico" del corpo sessuato si potrà giungere all’uguaglianza con l’uomo e, dunque, alla fine dell’intollerabile supremazia del maschio.
Il loro argomentare sembra, a una prima rapida occhiata, del tutto legittimo: è giusto procedere allo sviluppo della propria realizzazione personale e sociale, senza che questa venga bloccata in nome dell’identità sessuale. Che alla presidenza della Rai o della Camera ci sia una donna o un uomo è irrilevante, l’essenziale è che sia all’altezza del compito, al di là e oltre la sua fisionomia biologica. Tanto vale non tenere conto più di questa desueta distinzione; la differenza sessuale, insomma, è ormai solo una definizione naturalistica che non contiene più uno spessore culturale; eliminiamola perciò per non ricadere in vecchi stereotipi. Questa idea sembra persuasiva, se è vero che molte femministe, anche di area cattolica, la guardano con interesse, non accorgendosi però che siamo in tal modo già dentro il progetto teorico del "gender", che di certo ha nel cassetto ben altri obiettivi...
Vale la pena, a questo punto, chiarire il tragico malinteso: un conto è la richiesta di parità nei diritti e nei doveri sancita dalla nostra Carta costituzionale e da altre importanti Leggi fondamentali e Dichiarazioni (purtroppo ancora deficitaria in molte zone del pianeta), un conto è pretendere una uguaglianza tra i sessi, che è improponibile sia sul piano teorico sia su quello pratico. Le teorie del "gender", confondendo i due diversi registri, finiscono per irretire le femministe, facendo il gioco di quanti costruiscono in modo fittizio nuovi modelli culturali, improntati sull’eliminazione della differenza e sulla proclamazione del "pensiero unico", quello che appiattisce l’umano alla sola – tragica – dimensione dell’essere vivente in continua evoluzione.
Ben venga perciò l’iniziativa di varie associazioni cattoliche del mondo, che – in risposta a questa manovra ideologica – hanno predisposto una Dichiarazione –
Statement of the Women of the World – che oggi, 5 marzo, verrà presentata al Comitato sulla condizione della donna dell’Onu. In essa vengano ribadite e argomentate alcune idee guida sostenute dal principio antropologico della differenza, dove la pratica della reciprocità fra i sessi viene argomentata e colta come fondamento dell’autentica cultura femminista. Che non può annullare il valore della famiglia, della maternità e del lavoro invisibile e fuori mercato della donna all’interno della cura prioritaria della dimora familiare e che si apre al lavoro fuori casa, quando questo non divenga lesivo della sua realizzazione personale. In tale contesto, questa Dichiarazione chiede anche: il riconoscimento e il rispetto universale dell’identità femminile e della sua dignità e parità con l’uomo; nuove politiche internazionali a difesa della libertà di scelta della donna rispetto alla cura della famiglia, il che implica una vera conciliazione della vita familiare e lavorativa. La Dichiarazione indica anche l’esigenza di un quadro internazionale di politiche di tutela per le donne lavoratrici che desiderano avere figli o che si dedicano, in modo esclusivo o parziale, alla cura e all’attenzione per la famiglia e l’eliminazione di qualsiasi forma di discriminazione nei loro confronti. Sostiene con forza che la nuova forma di sfruttamento del corpo femminile attraverso la maternità surrogata deve essere colta come una violazione della dignità sia della madre sia del bambino. Si tratta di un modo diretto e risoluto per ribadire che la differenza fra i sessi, la maternità e la famiglia sono ancora e sempre in tutto il mondo princìpi antropologici di grande spessore culturale, capaci di segnare il carattere di ogni civiltà. Diverse per leggi e costumi, ma ugualmente decise a contrastare le derive nichiliste di ideologia fragili e violente.