Con una delibera di giunta la Regione Puglia ha stabilito che le strutture sanitarie «sono tenute ad attuare» la sentenza della Corte costituzionale sul suicidio assistito e ha identificato il comitato etico territoriale competente previsto dalla Consulta in quello del Policlinico di Bari. Si tratta della prima Regione ad aprire un percorso formale per la morte medicalmente assistita negli ospedali pubblici: il solo episodio di morte per per autosomministrazione di farmaco letale sinora verificatasi in Italia – quella di Federico Carboni a Senigallia il 16 giugno 2022 – si era verificata infatti nell’abitazione del paziente e senza alcuna decisione previa della Regione, mentre l’altro decesso volontario di cui molto si era parlato – quello di Fabio Ridolfi, morto a Fermignano, nel Pesarese, il 13 giugno – era sopravvenuto dopo l’avvio della sedazione profonda. Il governo pugliese, di centro-sinistra, ha disposto che «nel caso di una persona nelle condizioni corrispondenti a quelle indicate dalla Corte costituzionale, esprima alla propria Asl la volontà di ricorrere al suicidio medicalmente assistito, il Comitato dovrà pronunciarsi nel più breve tempo possibile per non gravare ulteriormente sulle sofferenze psicologiche e fisiche della stessa». Richiamando i confini dettati dalla Consulta nella sentenza “Cappato-dj Fabo” 242 del 2019 la giunta pugliese, guidata da Michele Emiliano (Pd), aggiunge che le «condizioni» per accedere all’aiuto al suicidio entro il ristretto perimetro di non punibilità indicato dai giudici costituzionali sono «patologie irreversibili, grave sofferenza fisica o psicologica, dipendenza da trattamenti di sostegno vitale e libera autodeterminazione» (ma si omette l’accesso a un a offerta «effettiva di cure palliative», che la Corte ha definito come pre-condizione) specificando che «dovranno in ogni caso essere verificate da un giudice di competenza».
La decisione del governo pugliese solleva rilevanti riserve giuridiche. A cominciare da quelle messe in evidenza da Emanuele Bilotti, docente di Diritto privato all’Università Europea di Roma: «Con la sentenza 242 la Corte costituzionale si è limitata a stabilire che, nei soli casi di patologia irreversibile e con dipendenza da trattamenti di sostegno vitale, deve essere esclusa la punibilità dell’aiuto al suicidio offerto da personale sanitario, senza che da ciò possa desumersi una giustificazione della condotta del medico in virtù dell’esercizio di un diritto del paziente». La Corte, aggiunge Bilotti, «ha infatti precisato che neppure in certi casi sussiste un obbligo dei medici di assecondare la richiesta di aiuto al suicidio del paziente. Resta pertanto affidato alla coscienza del singolo medico scegliere se prestarsi ad esaudire la richiesta del malato». Quindi nessun obbligo per gli ospedali? «Neppure laddove ricorrano i presupposti sostanziali e procedurali previsti dalla Corte, la richiesta di aiuto al suicidio può ritenersi vincolante. Non sembra perciò potersi sostenere che, nei casi indicati, il paziente sia titolare di una pretesa giuridicamente azionabile». Neppure, «a fronte della richiesta del paziente, il medico è titolare di un diritto di obiezione di coscienza. Infatti, se nessuna norma impone di assecondare la richiesta del paziente, non c’è neppure bisogno di proteggere la coscienza individuale del medico riconoscendogli il diritto all’obiezione di coscienza».
Dissente dalla decisione pugliese anche l’avvocato Domenico Menorello, ex deputato centrista, neo-componente del Comitato nazionale per la Bioetica e riferimento della rete associativa cattolica “Sui tetti”: «Singolare il “federalismo antropologico” che si inventa la Regione Puglia – riflette –. La vita non è nella disponibilità di alcun potere: figuriamoci se può essere la prima materia a far esistere una “autonomia differenziata” fra le Regioni, che peraltro si vuole negare persino per le competenze economiche e organizzative...». Contestabile secondo Menorello anche l’assunto della Regione per cui la «materia del suicidio medicalmente assistito» sarebbe stata «demandata alle Regioni dalla Corte costituzionale». Si tratta a suo giudizio di» una svista notevole, visto che i “princìpi fondamentali dell’ordinamento” sono sempre e solo dello Stato nazionale ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione, né la Corte costituzionale ha mai permesso che vi siano in Italia 20 concezioni di fine vita differenti». È vero invece che «la Consulta sempre nella sentenza 242 del 2019 ha affermato forte e chiaro che sono le cure per il dolore a essere diritti essenziali della persona, come ribadito ora anche dall’articolo 1, comma 84, della legge 197/2022», la “legge di bilancio”: «La Regione Puglia – incalza menorello – dovrebbe perciò dedicarsi a presentare entro il 30 gennaio il piano di potenziamento delle cure palliative, come prescritto da questa nuova normativa, anziché sconfinare in terreni e competenze che non esistono nemmeno nei sogni dei più arditi autonomisti».
Anche per Alberto Gambino, presidente di Scienza & Vita, «non è ammissibile che sui diritti soggettivi ogni Regione vada per suo conto. Si tratta di una materia che non rientra nelle prerogative dell'autonomia regionale». Non basta: una decisione come quella pugliese «cambia la fisionomia dei comitati etici», sulla quale può agire solo «una decisione regolamentare ad hoc». La sentenza della Corte peraltro «non è applicabile perché mancano le indispensabili procedure operative».