sabato 30 giugno 2012
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​Dove si va a festeggiare?». Era il primo luglio di due anni fa, Laura Salafia era felice per quel 30 nell’esame di spagnolo appena preso e con gli amici stava decidendo in quale bar andare a brindare per l’ennesimo successo della sua carriera universitaria. In piazza Dante, all’uscita della facoltà di Lettere e Filosofia a Catania, risuonano alcuni colpi di pistola, un proiettile vagante la colpisce al collo. Il proiettile lesiona il midollo osseo, la diagnosi non lascia speranza: tetraparesi, braccia e gambe paralizzate per sempre, la certezza di una vita in carrozzella. Laura è la vittima casuale di un regolamento di conti tra il pregiudicato Maurizio Gravino e Andrea Rizzotti, ex impiegato comunale, lo sparatore, che viene condannato a 18 anni. Di quel pomeriggio di festa, trasformatosi in tragedia, la donna ricorda ogni istante, mentre ne parla nella sua stanza all’ospedale Cannizzaro di Catania dove è ricoverata.«Ma la mia vita non si è fermata quel pomeriggio. Non si può campare con lo sguardo rivolto al passato, la vita va avanti, voglio viverla in pieno. Ho dovuto rinunciare a tanto, ma tanto mi resta ancora. E non voglio perderlo». Ancora per un po’ di mesi dovrà sottoporsi a trattamenti di riabilitazione all’Unità spinale del Cannizzaro, un piccolo gioiello della sanità, l’unico centro del Meridione attrezzato per le più moderne cure ai pazienti con gravi lesioni al midollo, dove è arrivata nel dicembre dell’anno scorso dopo quasi diciotto mesi trascorsi al Montecatone rehabilitation institute di Imola. Sta imparando a fare a meno del respiratore, a usare una carrozzina supertecnologica che viene comandata con il mento. Una paziente-modello, dicono i medici, colpiti dalla sua determinazione e dall’energia umana che sprigiona. Pur sapendo che la condizione generale resterà sempre grave, non rinuncia a perseguire ogni più piccolo miglioramento. E non rinuncia agli studi, Laura: una tutor messa a disposizione dall’università l’aiuta a preparare l’esame di storia e critica del cinema, e così accadrà per gli altri dieci che le mancano alla laurea in Lettere Moderne. La salute, gli studi, e il sogno più ambito: tornare a casa, in una casa attrezzata per accogliere anche la sua disabilità, e dove vivere col fidanzato Antonio che è sempre stato al suo fianco assieme ai genitori e alla sorella, e col quale vuole coronare nel matrimonio un amore che gli eventi non hanno intaccato ma rinvigorito. Da ultimo, proprio in questi giorni, la decisione di accettare la proposta arrivata dalla redazione del quotidiano La Sicilia, di curare una rubrica settimanale in cui raccontare la sua esperienza e il suo approccio alle cose d’ogni giorno.«A qualcuno sembra paradossale, ma quello che è capitato ha contribuito a far crescere la mia voglia di vivere. E mi ha insegnato a valorizzare tutto, anche i dettagli a cui "prima" neppure facevo caso. Ricordo come fosse ora quel giorno di primavera a Montecatone, quando dopo mesi passati in camera mi hanno portato nel giardino in carrozzella: la cosa più commovente è stata vedere i fiori appena sbocciati, osservarli uno per uno, notare le sfumature dei colori, ammirare le farfalle che gli volavano attorno. La natura si era risvegliata, come tutti gli anni a primavera, ma sembrava che lo avesse fatto per me, che ci fosse Qualcuno che mi donava quei segni, quella bellezza, per dirmi che mi amava. Non riesco a spiegarmelo fino in fondo, ma credo che questo sguardo positivo sulle cose e questa energia che sorregge il mio cammino mi vengano da Dio, la mia volontà da sola non basterebbe. Il mio corpo è pieno di limiti, ma nessun limite ferma il desiderio di gustare ogni momento dell’esistenza».Nella camera di Laura entrano ogni giorno parenti, volontari, amici vecchi e nuovi che le fanno compagnia. Pochi giorni fa ha compiuto trentasei anni e per l’occasione ha ricevuto una visita inattesa: le reliquie dei coniugi Martin – i genitori di Santa Teresa di Lisieux proclamati beati nel 2008 -, che avevano fatto tappa a Catania durante un tour in terra italiana, sono state portate nel salone dell’Unità spinale dell’ospedale da un gruppo di studenti universitari dell’associazione Cappuccini di Catania.Da molte città d’Italia arrivano lettere di persone che dalla sua voglia di ricominciare hanno ricavato l’energia per reagire alle disavventure. «La lettera che più mi ha commosso è quella di un ergastolano che, dopo avere letto sul giornale della mia vicenda, mi ha scritto: io so cosa vuol dire uccidere, privare dell’esistenza una persona, e la forza con cui tu hai lottato per vivere mi ha fatto capire ancora di più il male che ho commesso. E insieme che c’è sempre la possibilità di ricominciare, per te come per me che starò tutta la vita in una cella». Tra lei e il carcerato è cresciuta un’amicizia a distanza che ha portato l’uomo a un cammino di conversione: il male si è inchinato al bene, dal dolore sono nati frutti inattesi di cambiamento.Il colloquio è finito, Laura ha parlato quasi ininterrottamente per più di mezz’ora: molto per una nelle sue condizioni di salute, poco per noi che l’abbiamo incontrata e abbiamo toccato con mano che la voglia di vivere è più forte di qualsiasi condizionamento. E può rinascere anche da un letto d’ospedale.
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