Adler è un giovane di razza caucasica e di etnia scandinava, ha gli occhi tra il blu ed il verde, i capelli castani, è alto 179 cm e pesa 81 kg. Fa il macellaio. Nelle sue vene scorre sangue A positivo. Pavel invece è un aitante muratore, 178 cm di altezza e 75 di peso, occhi blu, capelli castani. Chissà che bel bambino potrà nascere, facendo incontrare in laboratorio il loro sperma con un ovulo di una giovane donna. Adler e Pavel sono due tra le centinaia di donatori che la banca del seme danese Nordic Cryobank presenta sul sito. Anche i colleghi della Cryos International, multinazionale del seme con sede ad Aahrus – sempre Danimarca – hanno fatto la stessa scelta, mettendo online le caratteristiche dei donatori. Anzi, dal loro sito si può direttamente selezionare le caratteristiche del donatore: la razza (medio-orientale o asiatica, caucasica o ispanica), il colore dei capelli, gli occhi... In questi giorni l’Ospedale Careggi di Firenze – il primo pubblico in Italia a eseguire una fecondazione eterologa, il 14 ottobre dell’anno scorso – ha ufficializzato la decisione di reperire all’estero gameti da utilizzare nella fecondazione in provetta con seme e/o ovociti estranei alla coppia. L’azienda ospedaliera fiorentina punta a divenire riferimento nazionale per le tecniche di procreazione assistita, con l’obiettivo dichiarato di effettuare mille cicli nel 2015 e 1.200 nel 2016. Epperò, com’era prevedibile, donatori (e soprattutto donatrici) volontari, in Toscana come altrove, non si trovano. E anche se si trovassero, il materiale donato non potrebbe essere utilizzato prima di 180 giorni dalla raccolta. Così la direzione ha reso pubblico il suo interesse a conoscere quali centri europei potessero fornire gameti, un avviso cui hanno risposto otto centri esteri e nessun centro italiano. Quattro i partner scelti – la Imer e la Ovobank, con sede in Spagna e, appunto, la Cryos International e la Nordic Cryobank, entrambe danesi – con i quali saranno sottoscritti contratti di collaborazione con i «costi dei servizi offerti da ciascun centro». Non sono aziende qualsiasi, ma veri supermercati del figlio selezionato a richiesta, ai quali però ci si limita a porre semplici condizioni anagrafiche: donatrici di età compresa tra i 20 ed i 35 anni, donatori tra i 18 e i 40. Inoltre il gamete non dovrà provenire da donatore o donatrice le cui cellule riproduttive abbiano già prodotto più di dieci nascite in Italia. La spesa prevista dal Careggi per il reperimento del materiale biologico è di 650mila euro l’anno. Che andranno in buona parte ai quattro empori della vita in provetta. A conti fatti, «servono 2.400 euro – enumera la ginecologa Cristiana Parri, del Centro Pma all’Ospedale della Versilia, a Lido di Camaiore – per far arrivare dall’estero gli ovociti necessari per un ciclo, 400 euro per gli spermatozoi». Al costo del kit biologico occorre sommare il valore di un intervento di procreazione assistita, che, nel caso della fecondazione omologa, è stimato in 1.800 euro.I costi per l’utente? Da 600 a 1.000 euro di ticket «a seconda della tipologia delle tecniche». In mancanza di donatori nostrani, anche lo staff versiliese ha preso contatti con le due banche del seme danesi per capire se i criteri di selezione qui adottati fossero compatibili con le linee guida della Regione Toscana, ma non ne ha fatto niente, almeno per adesso. «Donatori volontari, filantropici, disinteressati? Il principio fissato dalla delibera che, in fretta e furia, elaborò la Regione Toscana nell’estate scorsa, aprendo all’eterologa in Toscana, finisce per cozzare con la realtà – osserva Marco Carraresi, consigliere regionale Udc –: da noi i donatori non si trovano. E così i centri toscani si stanno rivolgendo all’estero, dove i donatori sono indennizzati», una soluzione alla quale anche le Regioni italiane sono orientate a piegarsi con l’istituzione di un «premio di solidarietà» non ancora quantificato. Un pagamento vero e proprio, sinora fermamente negato. «C’è da domandarsi – osserva Carraresi – se questo commercio a caro prezzo di sperma e ovuli umani sia davvero il modo migliore per investire i fondi della sanità, anziché investire il denaro dei cittadini nella ricerca e nelle cure dell’infertilità». Per il giurista Giuseppe Mazzotta «alcuni ci avevano garantito che con l’abolizione del divieto di fecondazione eterologa operatori e utenti sarebbero rimasti all’interno dei nostri confini. L’iniziativa del Policlinico di Careggi ci dice che non è così». È la resa al mercato della vita. E qualcuno comincia a dubitare che valesse la pena far cadere il saggio "no" contenuto nella legge 40 per arrivare a questo amaro epilogo.