È sempre perentorio Papa Francesco quando parla di anziani e abbandono. «È brutto vedere gli anziani scartati, è una cosa brutta, è peccato!», ha esclamato durante l’udienza generale di ieri, in uno dei suoi celebri interventi a braccio. Le parole esplicite del Papa interpellano con urgenza una società permeata di "cultura dello scarto" verso chi non è più produttivo, chi non risulta più in grado di provvedere a se stesso, chi è più fragile. «Non dobbiamo pensare all’anziano soltanto come un malato o un peso, ma è necessario considerarlo come persona che è soggetto attivo, in ogni senso», spiega
monsignor Ignacio Carrasco de Paula, presidente della Pontificia Accademia per la Vita che venerdì 6 marzo, nell’ambito della propria XXI assemblea generale (in programma da oggi a sabato), promuove il workshop internazionale «Assistenza agli anziani e cure palliative». Una giornata di studi e di approfondimento con sessioni di lavoro incentrate sul prendersi cura della terza e quarta età in condizioni di fine vita, sulle prospettive etiche e antropologiche delle cure palliative, sugli aspetti legali e pastorali del tema.
Da quale esigenza prende le mosse questa iniziativa?«Il tema degli anziani e dell’invecchiamento è molto ampio. L’anno scorso ci siamo occupati di anziani e disabilità e in questa occasione, in un’ideale continuazione del discorso, ci concentriamo sulle cure palliative. Una condizione legata alla salute e l’espressione di uno degli aspetti della vecchiaia: la fase conclusiva della vita, in cui può essere necessario il ricorso a nuove procedure e nuove risorse della medicina».
Assistiamo in Europa, e in generale nei Paesi occidentali, a un aumento delle persone anziane e delle patologie neurodegenerative: un’emergenza socioeconomica da non sottovalutare. Che scenari apre?«Compariranno nei prossimi anni nuove malattie legate ad aspettative di vita più lunghe. Quando si moriva prima alcune patologie non si presentavano. Oggi molte cose vanno ripensate nell’ottica dell’allungamento della vita media e dell’aumento della sensibilità sociale in questo senso».
Le cure palliative sono l’opposto dell’eutanasia: quanto sono importanti il loro potenziamento e la loro diffusione?
«Anzitutto bisogna evidenziare che c’è una differenza tra l’opinione pubblica e i medici. In medicina le cure palliative non si propongono per guarire, perché purtroppo non guariscono, ma aiutano a vivere, e a vivere bene. Eppure ci sono Paesi in cui non sono usate. Invece all’opinione pubblica l’eutanasia è presentata come una risorsa per eliminare la sofferenza, mentre è una risposta sbagliata perché è possibile rimuovere la sofferenza senza sopprimere il sofferente. Per questo nel nostro workshop non diamo spazio all’eutanasia: preferiamo puntare su proposte che tendano a un migliore utilizzo delle risorse per il ricorso alle cure palliative».
Si riaccende il dibattito sull’eutanasia che, come documenta Newsweek, si estende in Olanda e con la proposta di legge belga sull’estensione a persone in stato di demenza. Come rispondere a queste derive?
«Per 25 anni ho fatto parte dell’Associazione medica mondiale: ebbene, dal Duemila l’argomento è stato sollevato molto spesso e sempre a proposito della Società medica olandese, l’unica a sostenere queste pratiche. Ricordo il presidente dei medici nipponici: "I pazienti devono vedermi come colui che li aiuta a vivere, non a morire!". La formazione, la solidarietà, l’attenzione al prossimo sono tutti elementi che fanno parte della medicina, e non siamo così contenti di dover fare i conti con la cultura del relativismo. Quando vengono meno i punti di riferimento si arriva a questo: l’eutanasia non arriva per indicazione medica, ma per altre ragioni».
Francesco ha riportato l’attenzione sugli anziani come vite di scarto: cosa si può fare?
«L’espressione del Papa è un modo efficace di fotografare con precisione le sfumature buie, tuttavia ci sono anche quelle luminose. Rispetto a 10 anni fa c’è stata una trasformazione non solo degli anziani, ma anche del concetto di vecchiaia: sono in atto molti cambiamenti che vale la pena cogliere, per avviare una riflessione e affrontare quello che non è un problema ma una realtà con cui confrontarsi. Nei prossimi anni serviranno un nuovo stile e un nuovo linguaggio».
Come vede il futuro su questo tema?
«Non sono pessimista perché la società sa come evolversi e farà i conti con persone che, arrivate a una certa età, sono ancora in grado di fornire un contributo attivo, creativo e necessario. Gli anziani non sono affatto privi di futuro».