Meno farmaci, più prevenzione. Più attenzione agli stili di vita e alla stimolazione cognitiva, meno pasticche. È un cambiamento culturale di strategia terapeutica quello che si regista nella cura delle demenze, così come emerge dalla conferenza dell’Associazione internazionale dell’Alzheimer in corso a Londra. Le scelte sulle priorità cliniche hanno un impatto potenziale commisurato ai 47 milioni di persone che nel mondo oggi soffrono di demenza, con la prospettiva di altri 6 milioni di casi entro il 2030, fino a quota 115 milioni di pazienti entro i successivi vent’anni, come effetto dell’invecchiamento progressivo della popolazioni in molte aree del pianeta. Di fronte a un fenomeno di queste dimensioni, con le immaginabili ricadute, la comunità scientifica è impegnata a lavorare sulle cause delle demenze, arrivando a ipotizzare nel meeting londinese la possibile riduzione di un terzo dei nuovi casi. A condizione che si renda consapevole la popolazione del peso di stili e scelte di vita scorretti sullo sviluppo della patologia. Uno studio della rivista Lancet, elaborato da una commissione internazionale di esperti e reso noto ieri, ha identificato nove fattori di rischio quantificando il loro peso nel causare nuovi casi: perdita dell’udito nella mezza età (9%), non aver completato l’istruzione secondaria (8%), fumo (5%), mancato trattamento precoce della depressione (4%), inattività fisica (3%), isolamento sociale (2%), ipertensione (2%), obesità (1%) e diabete di tipo 2 (1%). Quanto ai farmaci, si parla di almeno 10 anni per poter disporre di soluzioni preventive, mentre c’è chi propone test preventivi obbligatori dopo i 40 anni.
Scelte da privilegiare, comportamenti da evitare: dagli studiosi di malattie neurodegenerative arrivano le indicazioni su quel che va fatto o evitato per prevenire la demenza. Evitando i farmaci.
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