martedì 26 novembre 2024
Dal presidente della Cei il senso della dimensione umana che fonda la medicina e le stesse istituzioni per la salute. Il discorso al convegno Cei sui servizi sanitari in Europa
Il cardinale Zuppi

Il cardinale Zuppi - Foto Siciliani

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Saluto di cuore tutti i partecipanti al Convegno Internazionale «Universalità e sostenibilità dei Servizi sanitari nazionali in Europa», e già questo mi rende contento perché dobbiamo rafforzare l’Europa, e mantenere quel livello di umanesimo che è decisivo per capire che cosa è l’Europa e per dare anima all’Europa.

Il Convegno è un’occasione – come tutti i convegni – per migliorarsi, qualche volta anche per far vedere quello che si fa, per prendere spunto dalle buone pratiche già esistenti, per convergere su alcuni obiettivi comuni e condivisibili, alla luce di alcuni principi ispiratori che, come Europa, abbiamo a nostra disposizione da tempo, e non è detto che se continuiamo così li abbiamo sempre a disposizione, dobbiamo non perdere le opportunità e non sciuparle. Vorrei solo ricordare come la cura della persona malata e ferita appartiene alla nostra civiltà, è uno dei tanti frutti di quelle radici, e in questo caso della radice cristiana, ed è un marcatore che unisce i diversi popoli.

L’insegnamento evangelico ci ha consegnato la cura della persona malata e sofferente come gesto tangibile e concreto, che nasce dalla fede e dal cuore, dall’umanità. In diversi nostri Paesi il concetto di cura si accompagna a strutture di ospitalità e ricovero, dove i pellegrini e i viandanti trovavano non solo riparo ma assistenza sanitaria; i primi ospedali sono legati in molti casi all’assistenza monastica.

Con l’appuntamento di oggi siete alla seconda tappa di un cammino, iniziato con tutti i professionisti sanitari, verso l’ormai imminente Giubileo della Speranza.

I professionisti sanitari hanno ben presente le due dimensioni della speranza: quella della guarigione e quella della cura. La guarigione non è sempre possibile; la cura è sempre dovuta. “Spero che mi curino” non significa immediatamente “spero che mi guariscano”, molte volte le due cose si confondono e c’è quasi un “diritto alla guarigione” perché nascondiamo la debolezza, la fragilità, il limite e la morte, per cui sembra esserci un diritto alla guarigione che quando succede qualcosa ci sembra negato e sembra sia colpa di qualcuno, e non l’accettazione di un limite.

La Speranza – che ha molte declinazioni nell’umano - ha in fin dei conti sempre una apertura al trascendente, a Dio, verso cui viene rivolta la domanda ultima di chi ha una condizione di salute precaria: “spero che in tutto questo ci sia un senso”, e ancora “spero che, nelle sofferenza e nel dolore, nelle crisi e nella difficoltà, nel turbamento del cuore, esistenziale, nel dubbio spirituale e morale, io possa sempre intravedere un po’ di luce”.

Il diritto alla salute e alla cura è uno dei cardini della nostra civiltà occidentale, che conosce molti modelli diversi di cure sanitarie ma che mette sempre al centro l’integralità della persona. I modelli meccanicistici della medicina appartengono a un passato, magari recente, con qualche convinzione e presunzione, ed è pericoloso come modello, ma superato dai fatti. Occorre perseguire il bene della persona intera, salvaguardare il primato della relazione di cura, promuovere il bene della salute di tutti e di ciascun cittadino. Questo ha un precedente con la prevenzione – con le campagne che sono state portate avanti, penso a quella contro il fumo in gravidanza o quelle per prevenire le diverse malattie più diffuse – e si sviluppa tramite la ricerca, sempre più capace di usare l’Intelligenza artificiale per migliorare le diagnosi complesse e per aiutare a trovare le cure per diverse malattie.

Questa costante attenzione al miglioramento, all’aggiornamento, alla “eccellenza”, trova ulteriore campo di applicazione nel grande e prezioso lavoro che viene svolto nel combattere, prevenire e curare vecchie e nuove dipendenze. Perché al centro della medicina non c’è soltanto il corpo umano; al centro della medicina c’è sempre la persona e il senso della vita.

Infine: guarire quando possibile, curare sempre. Ecco il senso della dimensione umana della “com-passione”. Papa Benedetto XVI, nella “Spe salvi”, ci ha insegnato che «la misura dell’umanità si determina essenzialmente nel rapporto con la sofferenza e col sofferente. Questo vale per il singolo come per la società. Una società che non riesce ad accettare i sofferenti e non è capace di contribuire mediante la com-passione a far sì che la sofferenza venga condivisa e portata anche interiormente è una società crudele e disumana» (Benedetto XVI, “Spe salvi”, 2007, n. 38). Si scivola in qualcosa che poco alla volta conquista spazi nella logica del profitto, nella logica dell’interesse che viene prima di quello della persona.

Per questo i Servizi sanitari nazionali sono un modello di civiltà. La nostra civiltà, con il suo passato, con il suo presente e con la responsabilità di guardare al futuro e di renderlo possibile.

Non possiamo sottovalutare l’importanza della qualità di un servizio di cura sanitaria offerto a tutti i cittadini, a qualunque condizione sociale appartengano. Il rapporto di Caritas italiana, presentato nei giorni scorsi, mette in luce una crescente situazione di “cronicità” della povertà, alla quale occorre ulteriormente prestare attenzione, perché molte volte è anche proprio una “povertà sanitaria”, ci si cura di meno e si è più malati. Questo comporta, chiaramente, il dovere di essere accorti gestori delle risorse disponibili, prima di tutto umane, poi finanziare e legislative. Credo ascolterete degli importanti esempi di come le fasce più deboli, quelle che sono normalmente escluse, possono invece essere accolte con la prevenzione, con il lavoro in sinergia, e trovare delle belle “buone pratiche”. Occorre lavorare insieme. E lavorare insieme significa anche costruire percorsi di pace.

Ciò che vediamo in questo periodo ci fa constatare che le ferite che l’umanità infligge all’umanità sono le più profonde e le più dolorose. Fino a farci osservare il Cristo crocifisso, Lui innocente, che soffre a causa dell’umanità che non volle riconoscerlo e accoglierlo.

Abbiamo negli occhi e nel cuore quel crocifisso, e guardare al Cristo crocifisso, che prima di risorgere è segnato dalle ferite fisiche e morali che gli vengono inflitte. Non rendiamo vana – insiste san Paolo – la Croce di Cristo (1 Cor 1, 17).

Questo nella sinergia: se il servizio sanitario pubblico funziona, ed è l’eccellenza, anche la collaborazione con il privato può avere nuovi sviluppi; ma deve essere sempre il pubblico ad avere l’eccellenza, e così anche utilizzare propriamente il privato.

Auguro la migliore riuscita a questo incontro, e a ciascuno di voi di continuare a camminare – con tanta speranza nel cuore – nella luce del Signore Gesù, per curare e per guarire.

* Cardinale presidente della Conferenza episcopale italiana

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