martedì 26 novembre 2024
Le parole di Francesco ai partecipanti al convegno internazionale su universalità e sostenibilità dei Sistemi sanitari in Europa, organizzato dall'Ufficio Cei per la Pastorale della salute
I protagonisti del convegno internazionale al termine dell'udienza del Papa in Aula Paolo VI. L'ultimo a destra è don Massimo Angelelli, direttore dell'Ufficio Cei, organizzatore dell'evento

I protagonisti del convegno internazionale al termine dell'udienza del Papa in Aula Paolo VI. L'ultimo a destra è don Massimo Angelelli, direttore dell'Ufficio Cei, organizzatore dell'evento

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Ecco il testo del discorso rivolto dal Papa ai partecipanti al convegno internazionale su “Universalità e sostenibilità dei Sistemi sanitari nazionali in Europa” organizzato a Roma dall’Ufficio nazionale per la Pastorale della salute guidato da don Massimo Angelelli insieme a tutte le federazioni rappresentative delle professioni sanitarie. La questione al centro del convegno è stata affrontata da uno dei relatori – Francesco Longo, docente di Management pubblico all’Università Bocconi – in un’intervista ad Avvenire.

Mi rivolgo a voi, fratelli e sorelle del mondo della Sanità. Il tema che avete affrontato nel vostro convegno pone la domanda su quale sia la condizione di salute in cui si trovano i Servizi e i Sistemi nazionali in Europa. Anche la vostra è una missione che costa fatica e richiede di saper lavorare insieme, in équipe. Io vorrei però invitarvi a porre l’attenzione su due ulteriori aspetti del vostro vissuto.

Il primo aspetto è quello del prendersi cura di chi cura. È infatti importante non dimenticare che voi sanitari siete persone altrettanto bisognose di sostegno quanto i fratelli e le sorelle che curate. La fatica di turni estenuanti, le preoccupazioni che portate nel cuore e il dolore che raccogliete dai vostri pazienti richiedono conforto, richiedono guarigione. Per questo vi raccomando di non trascurarvi, anzi, di farvi custodi gli uni degli altri; e a tutti dico che è importante riconoscere la vostra generosità e ricambiarla, garantendovi rispetto, stima e aiuto.

Il secondo aspetto che vorrei sottolineare è la compassione per gli ultimi. Infatti se, come abbiamo detto, nessuno è così autosufficiente da non avere bisogno di cure, ne consegue che nessuno può essere emarginato al punto da non poter essere curato. I sistemi e i servizi sanitari da cui provenite hanno alle spalle, in questo senso, una grande storia di sensibilità, specialmente verso chi non è raggiunto dal “sistema”, verso gli “scartati”. Pensiamo all’opera di tanti santi religiosi che per secoli hanno fondato ospizi per malati e pellegrini; oppure a figure come san Giovanni di Dio, san Giuseppe Moscati, santa Teresa di Calcutta: tutti sono stati veri “clinici”, cioè uomini e donne chinati sul letto di chi soffre, come dice l’etimologia del termine. L’invito che vi faccio, allora, è ad animare dall’interno i sistemi sanitari, perché nessuno venga abbandonato (cfr Messaggio per la XXXII Giornata Mondiale del Malato, 10 gennaio 2024). Il Vangelo, che ci insegna a non nascondere i nostri talenti ma a farli fruttare per il bene di tutti (cfr Mt 25,14-30) ci indica anche di avere, nel farlo, una via di predilezione nei confronti di chi, caduto, giace abbandonato sulla strada (cfr Lc 10,30-37). La lingua latina ha forgiato, in proposito, una parola bellissima: consolazione, con-solatio, che indica l’essere uniti «nella solitudine, che allora non è più solitudine» (Benedetto XVI, lettera enciclica Spe salvi, 39). Ecco la via: essere uniti nella solitudine perché nessuno sia solo nel dolore. E lì c’entra la vicinanza, sempre.

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