Sono il primo, fondamentale anello della tutela della vita. Sono quelli che tutte le mattine si svegliano pronti a correre nell’altra stanza, o in un istituto, dove passeranno grossa parte della giornata a prendersi cure dei propri cari, in stato vegetativo o di minima coscienza. Sono quelli che la differenza, tra questi termini, non la vedono neppure: credono nella dignità assoluta della persona che hanno davanti, e per essa lottano, faticano, fanno sacrifici. All’indomani dell’approvazione della legge sulle Dat alla Camera, le famiglie dei disabili gravissimi, costretti a letto e ad attenzioni costanti, si sono svegliate con un sorriso per la consapevolezza che i princìpi di cui sono stati gli instancabili portatori – dal caso di Eluana in avanti – sono stati riconosciuti. Ma anche con la solita lista, infinita e reale, di cose da fare. «È evidente che le parti del testo che sanciscono la necessità di tutelare la vita e il divieto a ogni forma di eutanasia danno una forma giuridica, finalmente, alle richieste che centinaia di famiglie hanno avanzato negli ultimi mesi»: sono d’accordo
Fulvio De Nigris, della Casa dei risvegli, e
Claudio Taliento, vicepresidente di Risveglio, una rete che riunisce almeno duecento famiglie sulla carta, ma oltre duemila nella realtà di tutti i giorni. «Ed è evidente che il capitolo idratazione e alimentazione si è chiuso con il trionfo delle ragioni che abbiamo sempre portato avanti: e cioè che non si tratta affatto di una terapia, o di un trattamento medico, ma di un fatto naturale». Una duplice vittoria, cui va aggiungersi il contenuto dell’articolo 5 (Assistenza ai soggetti in stato vegetativo) del testo approvato in Aula, secondo cui il ministero della Salute deve impegnarsi ad adottare linee guida per l’assistenza ospedaliera, residenziale e domiciliare per i soggetti in stato vegetativo. Eppure – i rappresentanti delle associazioni familiari parlano con un’unica voce – a questa legge, per la parte che riguarda proprio la Dat (cioè la Dichiarazione anticipata di trattamento), le famiglie che vivono ogni giorno l’esperienza del prendersi cura di un disabile gravissimo non sono affatto interessate. Non lo erano prima e non lo sono oggi: «Nessuno di chi incontriamo ogni giorno nelle strutture, o a domicilio, ha mai nemmeno pensato alla necessità che fossero messi paletti su che tipo di trattamento dovesse essere somministrato ai propri cari», spiega bene
Giuliano Dolce, neurologo di fama internazionale, responsabile della ricerca scientifica all’Istituto Sant’Anna di Crotone e presidente della rete di associazioni Vive. «Nessuna famiglia, mai, s’è posta il problema dell’interruzione o meno di trattamenti e cure». Così come molti dei medici e degli addetti ai lavori, quelli che ogni giorno hanno a che fare coi pazienti e che della legge sulle Dat hanno solo letto qualcosa sui giornali, la sera. Le famiglie, questo sì però, avevano bisogno di veder riconosciuta la dignità dei propri cari e quella del loro impegno: «Il che è accaduto sul piano concettuale – spiega
Paolo Fogar, presidente della Federazione nazionale associazioni trauma cranico, che di associazioni di familiari ne riunisce 26 e di famiglie almeno tremila –: questa legge colma quel vuoto legislativo emerso con forza dalla vicenda Englaro». Qualcosa rimane, però, ancora senza risposte, «e sono le vere necessità di queste famiglie: chi si occupa di loro? Chi pensa davvero a quello che devono affrontare ogni giorno? Perché non avevano e non hanno bisogno di Dat, ma di aiuti concreti, di Regioni pronte a stanziare fondi per sostenerle e per sostenere quelle vite che questa legge tutela». Ce l’ha con la Toscana, Fogar, che a differenza di Lombardia e Friuli «ancora non si muove su questo fronte» e che proprio la sua Federazione sta “martellando” con comunicati e campagne di sensibilizzazione continue da anni. Il suo punto di vista viene sintetizzato bene da De Nigris: «Queste famiglie hanno bisogno di una legge sulla vita, non solo sul fine vita. Una legge sulla vita di tutti i giorni. Questo ci interessa e questo speriamo di veder presto discusso in Parlamento».