Un anno fa l'approvazione della legge sulle Disposizioni anticipate di trattamento
La legge sul cosiddetto testamento biologico (la 219 del 22 dicembre 2017) fra due giorni compie un anno. Eppure, delle «Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento» ancora sono in pochi ad averne contezza. Secondo una ricerca di Focus Management per Vidas, solo il 28% degli italiani sa di cosa si tratta. A Milano sono stati 3.307 i biotestamenti depositati su un milione 350mila abitanti. A Bologna 800 su 380mila. In realtà, su alcuni siti di Comuni è possibile scaricare moduli ad hoc, ma in mancanza di un formulario e di un registro nazionale la richiesta rimane inefficace. Donata Lenzi, ex deputato Pd relatrice alla Camera della legge sulle Dat, fa un bilancio tutto sommato positivo, anche se ammette che «è come chiedere alla mamma un giudizio sul proprio figlio». In sostanza, «eravamo di fronte a una serie di sentenze che andavano in una certa direzione – spiega –. Ritengo che la legge fosse necessaria perché mette un punto fermo. Poi, non è detto che ci siano grandissimi numeri: in altri Paesi, non si arriva mai oltre il 20% dei cittadini». Ma in Italia di dati veri non si ha quasi notizia, e questo è già un indizio. «Un’altra delle cose che non siamo in grado di misurare, ma che sta crescendo molto – aggiunge Lenzi – è la pianificazione condivisa delle cure, prevista dalla legge. Mi risulta che in diversi ospedali, in reparti dove i medici sono più facilmente di fronte a questi casi, viene considerato un ottimo strumento. La legge infatti fa perno sulla relazione medico-paziente, archivia la medicina paternalistica, quella in cui decideva tutto il medico, ed esclude la medicina contrattualistica assicurativa, quella in cui se si firma un contratto tutto si traduce in obblighi giuridici».
Ce n'era bisogno?
Che di una legge sul biotestamento in Italia non si sentisse la necessità continua a essere convinta la senatrice Paola Binetti, che da deputata quel testo lo avversò: «Sembrava che il mondo venisse giù se la legge non si faceva, che tutto il Paese non stesse aspettando altro – ricorda –. Invece non era un’urgenza degli italiani ma una presa di posizione fortemente ideologica per giungere a ottenere una legge sull’eutanasia». Tra l’altro «l’attuale legge di bilancio – continua Binetti – non ha soldi per niente e per nessuno, perché sottoposta ai tagli imposti dall’Europa, ma i fondi per il registro delle Dat li ha trovati. Ora voglio vedere se daranno una precedenza a una logica di cura o di morte. L’obiettivo di fondo credo fosse quello di offrire ai professionisti che facilitano la morte dei pazienti la possibilità di farlo senza incorrere nelle sanzioni penali».
In realtà, la Corte Costituzionale, esprimendosi sulla legittimità dell’articolo 580 del Codice penale (aiuto al suicidio), ha di recente chiamato in causa il Parlamento per «un’appropriata disciplina». Gian Luigi Gigli, ex parlamentare e professore ordinario di Neurologia all’Università di Udine, contrario alla legge, se lo aspettava: «Quanto accaduto in quest’anno smentisce clamorosamente chi, anche in ambito cattolico, si era illuso di poter circoscrivere la legge sulle Dat per via giurisprudenziale. Ancora una volta la magistratura ha interpretato la legge per via estensiva. È evidente il tentativo di fondare sul diritto al rifiuto delle cure, previsto dalla legge sul biotestamento, anche il diritto al suicidio. Il recente pronunciamento della Corte Costituzionale lascia presagire che, per via legislativa o con un intervento demolitivo della Corte stessa, entro la fine dell’anno prossimo sarà legalizzato in Italia il suicidio assistito».
Verso un'altra legge?
C’è anche chi, come Mario Marazziti, ex presidente della Commissione Affari sociali della Camera, che molto lavorò a un’accettabile soluzione di compromesso, getta acqua sul fuoco. «Escludo che su una materia così importante – commenta – possa esserci l’obbligo politico e parlamentare di intervenire con fretta attraverso una legge su eutanasia e suicidio assistito. La legge 219 che ora disciplina la fine della vita, riforma il consenso informato e umanizza il morire lottando contro il dolore, la solitudine e la disperazione ma senza accelerare la morte, c’è già: non si può più parlare di un silenzio legislativo su una materia così vasta e difficile. C’è stata una grande convergenza culturale e parlamentare proprio attorno all’articolo sul "fine vita", che ho introdotto nel testo finale, e che ha visto solo 4 voti contrari. Il tema del suicidio assistito, drammatico– continua Marazziti –, è rimasto fuori ma riguarda casi estremi. E un Parlamento che già legifera poco, a volte inattivo per forza anche su temi urgenti, spesso appiattito su continui voti di fiducia, che non ha ancora discusso il testo vero della legge di bilancio ed è indietro su tanti aspetti fondamentali, mi sembra dovrebbe avere altre priorità».
Le volontà incerte
Intanto, sul versante pratico, a dover sbrigare la questione tocca anche ai notai. E il problema non è di semplice soluzione. «A distanza di un anno dall’approvazione della legge – sottolinea Albino Farina, vicepresidente del Consiglio nazionale del Notariato – purtroppo resta ancora da avviare uno dei punti essenziali di questa riforma: il registro nazionale delle Dat. La tempestività di accesso all’informazione è fondamentale: si pensi ai casi in cui occorre intervenire d’urgenza, magari lontano dalla residenza di chi ha rilasciato la Dat. Senza un registro nazionale il rischio è che le Dat esplichino la loro efficacia solo sulla carta. Il testamento biologico – rimarca Farina – dovrebbe diventare l’occasione per costruire, con il supporto di professionisti adeguati, un progetto più ampio di protezione della propria salute e dei propri interessi patrimoniali per affrontare con lungimiranza il tempo della fragilità e della debolezza. È quindi da scongiurare l’ipotesi che tutto si riduca a una firma frettolosamente apposta in calce a un modulo scaricato dal Web».