giovedì 12 settembre 2024
Famiglia, amici, volontari, personale sanitario: ai malati serve anzitutto poter contare su affetto e solidarietà. La Giornata della Sclerosi laterale amiotrofica (14 e 15 settembre) suona la sveglia
Lo stand in una piazza per un’edizione della Giornata nazionale Sla, con un malato e alcuni volontari di Aisla

Lo stand in una piazza per un’edizione della Giornata nazionale Sla, con un malato e alcuni volontari di Aisla - Foto Aisla.it

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Accanto ai malati di Sla ogni giorno si muove una schiera silenziosa di persone. Ascoltano, danno una mano, si aiutano a vicenda. I pazienti e i loro familiari non si sentono lasciati soli. E così persino le difficoltà più dure, se condivise, fanno meno paura. Ecco perché sabato 14 e domenica 15 settembre, per la XVII Giornata nazionale Sla, l’Associazione italiana Sclerosi laterale amiotrofica invita tutti i cittadini a unirsi ai volontari e alle famiglie per dimostrare solidarietà e vicinanza a coloro che affrontano questa grave malattia neurodegenerativa. Nella sera della vigilia, sabato 14, con lo slogan “Coloriamo l’Italia di verde”, centinaia di monumenti si illumineranno, unendosi alle istituzioni che hanno aderito all’iniziativa. Tra questi, per la prima volta, anche Palazzo Chigi e il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Il giorno successivo, domenica 15, in molte piazze italiane centinaia di volontari distribuiranno bottiglie di Barbera d’Asti Docg con lo slogan “Un Contributo versato con gusto” (la mappa su Aisla.it).

Ma intanto malati e familiari vogliono rivendicare in prima persona il diritto di vivere, nonostante la Sla. Come fa ogni giorno in concreto Paolo Zanini, consigliere per la sede regionale Aisla Friuli-Venezia Giulia e vicepresidente nazionale dell’associazione. Zanini convive con la Sla dal 2013, eppure si impegna come volontario per aiutare gli altri. «La Sla non permette improvvisazioni, ogni giornata è rigorosamente e meticolosamente organizzata – racconta –. Non è affatto facile, né per me né per mia moglie Catia, ma ne vale sempre la pena. Affrontare una malattia come questa richiede un'enorme quantità di amore da parte di coloro che ti circondano, dalla famiglia ai medici. Io sono circondato da amore, e spero di donarne altrettanto. Per amare non servono gambe funzionanti, la parola o la capacità di masticare e deglutire».

Con coraggio e tenacia, tutto il resto viene da sé. «La mia vita da padre è difficile da descrivere. I miei figli rappresentano pezzettini del mio cuore, che ho preso fin dal loro primo respiro e che tengo stretti ancora oggi. Con l'arrivo della malattia abbiamo pianto e riso insieme. Abbiamo condiviso ogni momento, senza paura e con la giusta dose di incoscienza e sfrontatezza. Abbiamo realizzato sogni che sembravano irrealizzabili, sempre e assolutamente insieme. Abbiamo speso una fortuna, ma ne è valsa la pena». E non è mai facile. Però è possibile. «Accanto al malato – continua – il ruolo “vicario” della famiglia è fondamentale. Quando una persona si ammala tutta la sua famiglia si ammala con lei. Ma, come affermava Marcel Proust, “un vero viaggio di scoperta non è trovare nuove terre ma avere nuovi occhi”. Io e la mia famiglia possiamo testimoniarlo. Noi non siamo la Sla, ma siamo sempre noi: una famiglia». E nelle difficoltà spesso queste famiglie riescono a superare ogni ostacolo, aiutandosi anche senza conoscersi. Donando pure gli strumenti di supporto terapeutico che possono servire ad altri malati. Per questo Mariangela La Selva, dopo la morte del marito Vito Troisi circa un mese fa, scrive all’Aisla ringraziando per l’aiuto ricevuto e mettendo a disposizione «materiale sigillato e stoccato nelle scatole riguardante la ventiloterapia: circuiti per ventilatori e macchina della tosse, filtri antibatterici e umidificanti. Se potesse essere utile a qualche altra famiglia o istituto, sarei molto felice di poterlo donare».

Il dolore è ancora acuto, ma trova la forza per ringraziare i volontari. «Abbiamo ricevuto tantissimo aiuto sia per il servizio autombulanza sia per gli aumenti della luce, ma anche per avere informazioni legali – racconta, mentre trattiene a stento le lacrime –. Abbiamo avuto il supporto di infermieri, del Servizi sanitario, non ci hanno mai abbandonati». Proprio di recente avevano festeggiato i 40 anni di matrimonio: lei originaria di Avellino, lui di Bisceglie, una vita trascorsa a Milano nella ristorazione. Insieme ai due figli, tutta la famiglia è stata accanto a Vito fino alla fine: «Mio marito durante tutta la sua malattia, dalla diagnosi fino alla fine è stato in cura presso il centro clinico Nemo di Milano Niguarda. Tutti i medici, i fisioterapisti e gli infermieri sono sempre stati molto premurosi, pazienti e affettuosi con lui e con noi familiari. Non ci hanno mai fatti sentire soli e sono sempre stati attenti nel tentare di assecondare i bisogni di mio marito. Per questo, mi sentirei assolutamente di indirizzare lì chi ne ha bisogno».

Ovunque, gli ostacoli da affrontare non mancano mai, eppure la voglia di vivere e la passione dei pazienti non sembrano conoscere limiti. Basta ascoltare Luca Leoni, una vita trascorsa nel mondo della comunicazione. Poi tre anni fa la diagnosi di Sla. La sua voglia di raccontare non arretra di un millimetro. «Non tutto il male viene per nuocere. Nella sfortuna mi è successo di ritrovare tantissime persone che non vedevo da 50 anni e di conoscerne di nuove”, esordisce prima di spiegare come sia possibile fare rete grazie a una chat e alla passione calcistica. «Sono interista da una vita e insieme a tanti tifosi come me condividiamo un gruppo su Whatsapp. Molti sono personaggi noti, come l’amico Stefano Boeri, altri invece li ho conosciuti grazie ai messaggi che mi arrivano. Ci scriviamo, organizziamo iniziative di solidarietà, con alcuni ci diamo appuntamento per poi incontrarci a casa mia». E così attorno a una passione comune nascono nuove idee per raccogliere fondi e sensibilizzare. «Abbiamo organizzato una iniziativa per sostenere le attività di cura e ricerca del Centro NeMo di Milano, presso l’Asst Grande Ospedale Metropolitano Niguarda, da quindici anni impegnato nella cura e nella ricerca sulle malattie neuromuscolari – racconta –. Per noi malati è importantissima la ricerca e anche la possibilità di partecipare ai trial. Molti passi avanti si stanno facendo, ma solo con l’aiuto di tutti possiamo continuare a guardare avanti con speranza. Senza mai essere lasciati soli».

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