Adozioni per le coppie omosessuali? La legge Cirinnà, che martedì riprende l’iter in Senato, va totalmente fuoristrada. Non soltanto è in palese contrasto con la legge italiana che disciplina la materia (la 184 del 1983), ma viola anche i principi della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo – che l’Italia ha ratificato con la legge 176 del 1991 – e perfino alcuni interventi della Corte Europea dei diritti dell’uomo che però, sul punto specifico, si è espressa negli ultimi anni in modo contraddittorio. Se quindi venisse approvato il dettato secondo cui il partner del genitore omosessuale può adottarne il figlio (stepchild adoption, letteralmente adozione del figliastro), verrebbero lese una serie di norme già contemplate nel nostro ordinamento, e si aprirebbe la strada per un intervento della Consulta, con una conseguente paralisi che finirebbe per danneggiare come al solito i soggetti più deboli, cioè proprio quei bambini e quei ragazzi che si dice di voler proteggere, accogliere, educare. Sono proprio i principi di fondo delle due norme – la Cirinnà da una parte, la legge vigente sulle adozioni dall’altra – a risultare inconciliabili e a determinare quindi il possibile corto circuito. La prospettiva della Cirinnà è "adultocentrica", cioè punta a soddisfare quel "diritto al figlio" che è appartiene alla logica del «desidero, pretendo, quindi ne ho diritto», mentre la legge 184 parte da un presupposto che è esattamente agli antipodi: attribuire al minore in difficoltà una famiglia i cui genitori siano sposati. E, visto che per la legge italiana il concetto di matrimonio è quello espresso dalla Costituzione, siano anche di sesso diverso. I tanti versanti contraddittori e criticabili della legge sulle unioni civili sono stati al centro di un incontro organizzato nei giorni scorsi dal neonato Centro studi Rosario Livatino, che raccoglie magistrati, avvocati, docenti di discipline giuridiche, decisi a spendersi sui temi familiari e bioetici dopo un percorso sperimentale promosso dal Comitato Sì alla Famiglia. «Non esiste un diritto all’adozione – ha fatto notare Lucia Rabboni, giudice al Tribunale per i minorenni di Lecce –, nessuna fonte di diritto interno o sovranazionale lo contempla né per le coppie eterosessuali né per quelle omosessuali. Esiste invece il diritto del minore a una famiglia, così come recita il titolo della legge 184/83 che si pone semanticamente in opposizione con il diritto della coppia a un figlio». Altro requisito assolutamente inderogabile è quello che la coppia sia unita in matrimonio e, visto che per la legge italiana, il matrimonio è consentito solo tra un uomo e una donna, non esistono margini per l’adozione "legittimante" di un minore da parte di coppie omosessuali. «Nessuna sentenza di merito "creativa" – ha sottolineato Rabboni – è riuscita a far breccia su tale impianto, tanto semplice quanto inespugnabile, immune da censure di incostituzionalità e rispettoso della normativa sovranazionale». Il riferimento all’Europa è importante perché, mentre negli ultimi decenni è indiscutibile il progressivo riconoscimento dei diritti delle persone omosessuali, è altrettanto vero che i giudici di Strasburgo hanno sempre ribadito che il diritto di sposarsi è riconosciuto secondo le leggi nazionali. In ogni caso, ha fatto notare ancora il magistrato, quel "diritto alla vita familiare" evocato in ambito europeo per gli omosessuali, non «comprende il diritto di adottare». Ancora più chiara un’altra grande carta internazionale, la Convenzione di New York del 1989 che sancisce, tra l’altro, il diritto del minore «a conoscere ed essere allevato dai propri genitori». L’avvocato Anna Maria Panfili, già presidente del Forum ligure delle Associazioni familiari, ha fatto notare come questi diritti siano stati recepiti non solo da alcune disposizioni del codice civile (art.315 bis e 337 ter) ma anche e soprattutto dalla legge 184 sulle adozioni. «Il diritto del minore a una famiglia indicato dalla legge – ha messo in luce Panfili – richiama il diritto ad avere una figura materna e una paterna. Risulta evidente che la differenza sessuale degli adottanti è parametro non emarginabile per verificare l’interesse superiore del minore nelle decisioni che lo riguardano». In altre parole, la legge 184 sull’adozione, indicando il valore delle differenza sessuale degli aspiranti adottanti, ha l’obiettivo della tutela «dei diritti del minore, non quella di discriminare un adulto». Con buona pace di quanto vorrebbe la legge Cirinnà.