Una delle manifestazioni di domenica 10 contro l'estensione della legge sull'aborto
Cinquanta manifestazioni in tutto il Paese, da Buenos Aires a Rosario, da Tucumàn a Mendoza, da Cordoba a La Plata, con centinaia di migliaia di partecipanti. L’Argentina che dice sì alla vita, e che online si riconosce nell’hashtag #salvemoslasdosvidas (Salviamo le due vite), è scesa in piazza domenica 10 giugno, a tre giorni dalla seduta del Parlamento chiamata a decidere se cambiare l’attuale legge che circoscrive l’aborto ai casi di violenza, incesto o pericolo per la salute della madre rendendolo libero sino alla 14esima settimana ed estendendolo anche alle adolescenti. L’esito del voto parlamentare, che arriverà nella giornata di giovedì 14, è appeso alla scelta della trentina di deputati ancora indecisi, che faranno pendere la bilancia dalla parte dei 112 che si sono già detti favorevoli alla riforma – appoggiata dal presidente Mauricio Macri – o dei 115 attualmente contrari, specchio di un’opinione pubblica anch’essa divisa. Ormai alla vigilia del voto, non è passata inosservata l’elargizione venerdì di un prestito da 50 miliardi di dollari da parte del Fondo monetario internazionale, indispensabile a un Paese nuovamente in grande affanno, pochi giorni dopo che una voce popolare come quella di padre Pepe Di Paola – notissimo prete delle villas miserias della capitale – nella sua audizione parlamentare sulla legge aveva denunciato che l’apertura sull’aborto sarebbe la contropartita chiesta dal Fmi.
Religioni in preghiera
Una preghiera interreligiosa per promuovere la cultura della vita, in vista della seduta decisiva del Parlamento argentino si è svolta nella sede della Conferenza episcopale argentina. «Questa chiamata ci impegna tutti – ha detto monsignor Oscar Ojea, presidente della Conferenza episcopale cattolica –. L’amore per la vita accresce il nostro impegno affinché le condizioni di vita siano degne», ha aggiunto Ojea prima di accendere un cero come segno di unità. Alla preghiera, riferisce il Sir, hanno partecipato rappresentanti di organizzazioni ecumeniche, cattolici, ortodossi, evangelici, ebrei, musulmani, culti indigeni e afro. «Ci uniamo nel ringraziamento per la vita di tutti gli argentini delle passate, presenti e future generazioni – si legge nel messaggio congiunto –, convinti del valore di ogni vita. Ci assumiamo la responsabilità di difenderla, invocando la protezione di Dio, fonte di ogni ragione e giustizia, come indicato nel preambolo della Costituzione». Dal 13 maggio fino alla Solennità del Corpus Domini di domenica 3 giugno la Conferenza episcopale ha invitato a un tempo di «preghiera incessante» in particolare per aiutare coloro che avranno la responsabilità di prendere una decisione in ambito legislativo. I vescovi argentini hanno dato la loro adesione alle marce in difesa della vita organizzate in tutto il Paese domenica 10 come opportunità per testimoniare con rispetto e democraticamente l’amore per la vita.
La verità di padre Pepe
«Negli ultimi 50 anni questo gruppo di sacerdoti delle villas (baraccopoli) è stato testimone di molte proposte di morte. Sono morti catechisti, religiosi e sacerdoti, uccisi dalla dittatura, dal traffico di armi e droga e continuano a morire adolescenti e giovani. Non abbiano necessità di aggiungere altre morti!». Insolitamente, padre Pepe Di Paola ha scelto di leggere il suo intervento per riuscire a concentrarlo nei tempi stretti delle audizioni presso le commissioni parlamentari a Buenos Aires. Sessioni in cui esperti di vario orientamento e settore sociale sono stati chiamati a dare il proprio parere sul progetto di legge che prevede la legalizzazione dell’aborto nelle prime quattordici settimane di gravidanza. Tra questi, il 31 maggio, i legislatori hanno ascoltato il più noto dei curas villeros, preti impegnati nelle baraccopoli della capitale. Padre Pepe, appunto. In un discorso di sette minuti, il sacerdote, collegato in video-conferenza, con la vis polemica che lo caratterizza, non ha risparmiato critiche al progetto di legge presentato dal governo di Mauricio Macri, il cui voto in aula è previsto per mercoledì prossimo. Di Paola lo ha fatto, però, sollevando obiezioni inattese. Per padre Pepe è «molto più femminista rivendicare i diritti della donne e proteggere la vita» – attraverso aiuti come il sussidio alle mamme ideato dal precedente esecutivo e eliminato dall’attuale – piuttosto che sopprimerla. «Non è che molti legislatori e funzionari impegnati nel sociale si sono ormai rassegnati e hanno smesso di cercare soluzione reali per aiutare le donne povere ad affrontare la loro dura quotidianità o i bimbi abbandonati o schiavizzati dal narcotraffico?». Non solo. Il prete villero ha messo in relazione la depenalizzazione dell’aborto – non inclusa nel programma con cui il presidente Macri è stato eletto nel 2015 – con la recente richiesta di aiuto del governo al Fondo monetario internazionale (Fmi). Non è casuale – ha sottolineato – la concomitanza dei due provvedimenti. «Aborto è sinonimo di Fmi, le guste o no al mondo conservatore il quale vede di buon occhio che i poveri abbiamo meno figli, o nessuno», ha affermato ricordando come campagne abortiste siano state sostenute in passato da Robert McNamara, «ex segretario di Stato Usa, responsabile dei bombardamenti più brutali in Vietnam» e dai Rockefeller. Poi il sacerdote ha lanciato una provocazione ai settori progressisti. «Sventolate le bandiere di una presunta libertà della donna di disporre del proprio corpo, però sembrate ignorare che questo genocidio è ispirato e promosso dal Fmi. I nostri quartieri hanno necessità di proposte di vita degne e di una società che protegga i più deboli, non che li scarti come rifiuti tossici». Il 16 marzo l’équipe dei curas villeros – una trentina di preti – aveva espresso un severo giudizio sulla depenalizzazione dell’aborto: «Noi optiamo per la vita come viene, senza sfumature. Specialmente per la vita minacciata in qualunque forma», e «questa opzione la confermiamo con azioni comunitarie concrete, che realizziamo nei nostri quartieri, affinché si viva bene e con dignità».