martedì 17 marzo 2015
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​​Stamattina, nelle prime ore di scuola, accompagnato da due poliziotti, è venuto un giudice a parlarci della mafia. Anche se eravamo in tanti con tutte le classi riunite nell’aula magna, siamo stati molto attenti, e ogni volta che il giudice ci invitava a sconfiggere la mentalità mafiosa, amando la giustizia e difendendola con coraggio fin da adesso, scoppiava un grande applauso. Terminato il discorso, siamo usciti per l’intervallo, tutti decisi ad amare la giustizia, e a combattere la delinquenza organizzata. Rientrati in classe, abbiamo trovato M. che piangeva e la professoressa di italiano accanto a lei. Abbiamo capito subito di cosa si trattava. C’è un gruppetto, tra i quali un nostro compagno, che si diverte a rubare le merende, e non possiamo farci niente perché sono grossi e menano. Questi da alcuni giorni se la sono presa con M., che, oltre tutto, deve rimanere a digiuno perché ha un sacco di allergie e può mangiare soltanto quello che porta da casa. Appena sistemasti ai nostri posti, la prof ha parlato: «È ora di finirla con questo scherzo stupido. Adesso mi dite chi è stato». Tutti zitti con gli occhi bassi. La prof ha continuato a insistere, ma nessuno ha fiatato. Allora si è molto arrabbiata e ha gridato: «Vergognatevi! Vi ho visto battere le mani contro la mafia, e adesso vi comportate da mafiosi. Sappiate che quei delinquenti dei quali il giudice ha parlato, hanno iniziato con prepotenze contro i compagni più deboli, protetti dalla vigliaccheria e dalla paura degli altri, come state facendo voi». Poi ha iniziato la lezione in un silenzio che non capita mai. Ma nonostante il silenzio non ho capito una parola, perché sentivo solo la mia vergogna. Avrei voluto dire alla prof chi era stato a rubare la merenda a M., ma quello abita vicino da casa mia, e me l’avrebbe fatta pagare. Però, devo decidere: se amo la giustizia, non posso avere paura dei prepotenti e applaudire chi ha il coraggio di combatterli.
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