Una donna minuta, timida e apparentemente dimessa, ma forte e coraggiosa. Era così Rosa Parks, diventata con la sua vita, simbolo della lotta nera contro la segregazione. Negli anni Cinquanta nel Sud degli Stati Uniti, nonostante dai tempi di Lincoln la schiavitù fosse stata abolita, le persone di colore non godevano degli stessi diritti dei bianchi. Le regole erano rigide: i neri non potevano frequentare le stesse scuole, gli stessi ospedali, e gli stessi locali pubblici dei bianchi. Su alcuni autobus gli afroamericani non potevano circolare, su altri dovevano salire dall'entrata anteriore, pagare il biglietto scendere e risalire dalla porta posteriore. I posti per i bianchi erano un privilegio garantito: i neri dovevano cedere il passo. Sessant'anni fa, il primo dicembre 1955, era una fredda mattina d'inverno: Rosa Parks, ancora più stanca del solito dopo una giornata di duro lavoro, rifiuta di alzarsi per lasciare il posto a un bianco, come prevedono le leggi dell’Alabama, dove Rosa vive. Il suo è un no semplice ma deciso e pacifico. L'arresto è immediato e pressoché immediato lo sciopero dei neri che rifiutarono per 381 giorni di salire sui bus di Montgomery: vanno al lavoro a piedi, camminando per chilometri, oppure si fanno dare un passaggio dai fratelli neri che guidano un taxi. L'azienda dei trasporti pubblici rischiò la chiusura per debiti, ci furono manifestazioni e proteste in tutto l'Alabama e poi in tutti gli Stati Uniti. Alla fine Rosa e gli altri afroamericani ottennero riconosciuti i propri diritti ma a caro prezzo: Rosa, continuamente minacciata, fu costretta a cambiare città e solo un anno dopo la protesta la Corte suprema, il tribunale più importante di tutti gli Stati Uniti, obbligò l'Alabama a cambiare la legge odiosa: sugli autobus ognuno poteva sedersi dove voleva. Non importava il colore della pelle. Solo possedere il biglietto.