L’oggetto era quasi sferico, di rozzo cuoio a pezze rettangolari cucite all’interno; una sorta di bocca stringata con una correggia di pelle vi faceva incongruo e minaccioso bernoccolo. Sotto la stringa s’indovinava un budellino di gomma telata, che era legato con uno spaghetto di canapa e ripiegato in modo che non me potesse fuoriuscire l’aria. Esso sporgeva da un foro centrale di una pezza ellittica di cuoio più morbido, che proteggeva la vescica. Fra la pezza di protezione e la sfera vera e propria veniva allora il budellino, protetto dalla correggia intrecciata e rimandata più volte dall’ultimo foro al primo, così che non avesse a smollarsi durante il gioco.La vescica veniva gonfiata con una normale pompa da bicicletta. La valvola si avvitava alla pompa e bastavano poche pulsate perché la vescica gonfiasse fino a rendere tesa e sonora la guaina, sulla quale si batteva l’unghia del medio come sulle angurie per stabilirne il grado di maturazione. Quando la guaina era gonfia, si annodava il budello e si ficcava sotto uno dei labbri rinforzati della bocca. La stringatura veniva compiuta con un ago nel quale s’infilava l’estremità della correggia. L’ago – in dialetto “guggia” – si poteva anche improvvisare con del filo di ferro, che qualche volta tradiva ficcandosi malignamente nella vescica e provocandone lo scoppio.L’oggetto quasi sferico veniva chiamato fòlber o fùlbar secondo pronuncia bassaiola o briantea. Era la deformazione dell’inglese football, o palla per i piedi. In italiano si usava chiamarlo pallone, in dialetto “balòn”.Dalla Storia critica del calcio italiano, Baldini e Castoldi 1998.
È fatto di 12 pannelli geometrici in pelle sintetica saldati a caldo. Per quando piove o c'è nebbia
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